Cala il sipario per Maja Plisetskaya, una delle più illustri ballerine classiche del mondo intero. L’ultimo battito del suo cuore ha spento le luci della ribalta lasciandoci all’immortalità della sua arte.
La danzatrice russa, legata alla storia del balletto tradizionale del suo Paese, al grande Teatro Bolshoi, ma al senso della danza in tutto il mondo, si è spenta in Germania il 2 maggio 2015 all’età di 89 anni.
Danzò da quando ne aveva 9, la sua prima esibizione a 11 anni. Maja è stata una icona della danza per tutta la sua vita. Amata da prestigiosi coreografi come Roland Petit e Béjart, che hanno creato brani apposta per lei, era moglie del compositore Rodion Schedrin, di cui ricordiamo, scritti in suo onore: “Carmen Suite”, “Anna Karenina” e “Il Gabbiano”.
Ha danzato fino a 70 anni (“Ave Maja” di Béjart). L’arte, la danza come la coreografia (negli anni ’80 fu anche Responsabile del Corpo di Ballo dell’Opera di Roma) e i ruoli, significativi del suo prestigio (dal 1996 Presidente del Balletto Imperiale russo), non l’hanno mai allontanata dalla sua natura artistica. Meravigliose fotografie, prima in bianco e nero e poi a colori, la immortalano nell’essenza propria del suo personaggio, sempre in scena con eleganza e professionalità encomiabili.
I tratti del suo volto e la gestualità più naturale mostrano ciò che è sempre stata.
Si diplomò nel 1943 entrando nel corpo di ballo del Bolshoi come solista, nel 1945 ricevette la nomina a Prima Ballerina nel ruolo di Kitri del “Don Chisciotte” (poi sarà la volta di “Raymonda”). Nel ’47 è Odette/Odile e nel 1960 ottiene l’onorificenza di Prima Ballerina Assoluta. Un lungo elenco di ruoli e partecipazioni… Come si confà a un’artista di tale levatura.
Esce di scena ma la salutiamo e onoriamo con la sua prima entrata.
Il mondo della danza saluta con tristezza Maja, ben consapevole che il suo pregio sia immortale. Non fugge via… Anzi eccola scendere le scale ed entrare sul palcoscenico, spensierata e sicura, sulle note del Don Chisciotte: vi lascio dunque all’Entrance di Kitri, in bianco e nero, per cogliere l’essenza del suo talento. Il portamento, il sorriso, la forza ineguagliabile.
Slancio e velocità, con una naturalezza sorprendente, definiscono la variazione. Grand jeté en tournant entrelacé chiuso a terra con il tocco del ventaglio sul pavimento, o i tour chaînés déboulés velocissimi e perfettamente sulle note mentre, in chiusura, il ventaglio aperto nella mano sale con il braccio alzato sopra la testa: un cenno malizioso che come un filo lega un passo all’altro. Fino alla fine.
Stefania Sanlorenzo