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Torino, 7-8 aprile 2016, presso la Lavanderia a Vapore di Collegno, due serate per la rassegna di PalcoscenicoDanza, diretta da Paolo Mohovich, sono state dedicate alla compagnia di Abreu, autore, ballerino, coreografo e regista, in scena con lui due figure femminili: Anuska Alfonso e Dàcil Gonzàles. Una alta è scolpita di belle linee e forme; l’altra più minuta ma estremamente elastica, hanno alternato la rappresentazione del brano con Daniel Abreu, di cui colpisce il rigore interpretativo, in “Silencio”, vincitore del Premio Nacional de Danza 2014.

Tutto molto serio e più polveroso che silenzioso.

Mischiamo le parole, nell’arte si può: il silenzio che sarebbe una dimensione sonora dei sensi (assenza di suono o rumore), diventa una dinamica fisica, interiore ed esteriore e la “polvere” non è solo quella che sembra depositata sui pochi oggetti di scena o quella soffiata da lui stesso in piedi su di una cassa nera di uno stereo. Un polvere magica e lucente, ma diviene un “ modo di sentire”. Non avete mai pensato che certi nostri stati d’animo possono essere impolverati, sfiorati da uno strato sottile che la luce nella penombra fa riaffiorare al reale? Come il silenzio che non è assenza di suono. Perché c’è anche la musica, ma essa in effetti, non sembra accompagnare o vivere o dar vita al movimento danzato, bensì pare pensata come tutto il resto: qualcosa che riempia un vuoto e cioè uno spazio fisico, quello che intercorre fra un momento e l’altro di silenzio.

La gestualità è corporea, non sono veri passi di danza, sono movimenti misurati e mirati a una precisa forma.

Tecnicamente i tre interpreti meritano attenzione e applausi, emozionalmente si avverte la ricerca del senso intimo della solitudine e di come essa si percepisca o si esprima.
Temo che il pubblico fosse un’idea perplesso, come me.

Eccellente ricerca. Ottima interpretazione; ma il viaggio emozionale è un percorso individuale e non sempre il cammino di alcuni è quello di tutti.
Pensandoci però, come potremmo mai esprimere con il nostro corpo e poco altro il ‘Silencio’, che è forse una delle sensazioni più difficili da comprendere? Come possono tre corpi riempire una scena in nero, con sollevamenti, contorsionismi, spostamenti, gioco di piccoli e impercettibili cambi (le scarpe, modello e colore, la maglietta o la camicia, il seno nudo e la piuma fuxia…) e farti comprendere, a te spettatore un poco scettico, cosa sia realmente il silenzio?

Che cosa senti?

Stefania Sanlorenzo

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