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Io ricordo che fare uno stage era un evento importante. Facevo uno “stage di danza” ovviamente, perché ce n’è di ogni tipo, anzi direi che il concetto ha invaso proprio gli ambiti lavorativi di diverso genere. E si fanno stage di ‘ogni tipologia’.
Tornando alla mia, devo dire che sì, più ci penso e cerco di razionalizzare, più il senso era proprio quello: uscivo dall’ordinario e quindi mi buttavo in qualcosa di particolare. Non era la lezione giornaliera; non si trattava solo di incontrare insegnanti diversi, si viveva un’esperienza fra parentesi. Poteva succedere di tutto a dir la verità. Ti miglioravi tecnicamente, imparavi davvero nuovi metodi, diversi approcci a quei passi che già credevi di conoscere così bene, forse ti potenziavi, perdevi tempo (ecco perché “saper scegliere un buono stage” diventa importante). Ti sentivi umiliata e ne uscivi demoralizzata, perché la classe di uno stage non è la tua classe!!!
Imparavi la competizione, dovevi capire velocemente dinamiche non consuete per te, ma magari per altri sì: ti possono calpestare, ti possono far saltare il turno, puoi non trovare un partner per l’esercizio in coppia, ti perdi la diagonale, rinunci al manége…. Succedono queste cose. Eppure ne possono accadere anche molte altre. Conosci gente nuova, scambi idee, sensazioni, progetti, persino piccoli accorgimenti. Cose che non ti erano venute in mente, eccole lì mischiate a sudore, speranze, voglia di farcela…. Insegnanti che non ti conoscono abitualmente ti correggono, lavorano sul tuo modo di lavorare: questo è fantastico, pensateci! Il guaio sarebbe essere ignorati, no?
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Sento la Marghe, perché improvvisamente mi coglie un dubbio: “Ma noi ci siamo mai fatte questa domanda?”
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“Non ce lo siamo chieste mai!”
Neanche a mezza bocca, mezza volta, neanche un retro pensiero, mai sfiorato l’idea del perché dovessimo o meno frequentare uno stage. Poi si dice con pronuncia francese, scivolando il “sge” oppure in inglese? Mah?! Non lo sapremo mai, Stef.
Poco ci importava, insomma a 12 anni, due settimane a Roma a studiare danza con una decina di coetanee era un motivo sufficiente; anzi era il motivo, punto.
Alito di libertà, brezza leggera d’avventura. La mattina classico, il pomeriggio contemporaneo. “E’ vero! Ti ricordi le corse e poi l’occhio alla bacheca per leggere dove andare e almeno capire se il nome dell’insegnante fosse facile da pronunciare…” Corso selezionato dalla nostra insegnante che mai ringrazieremo a sufficienza, soprattutto di essersi gettata in questa avventura con tanto coraggio e un pizzico di incoscienza. Certo, perché qualcosina poi è successo: febbri, ustioni, incidenti alla tavola calda per bizzarre sostituzioni di coca cola al posto di aceto, mutande che penzolavano dai balconi della pensione per festeggiare la vittoria ai campionati mondiali di calcio (l’unica cosa trovata dei colori confacenti ). Quell’esperienza, a me e alla Stef, ci ha segnate e ci ha spinto, oggi, pare buffo, a chiederci cosa bisognerebbe cercare in uno stage; ma entrambe siamo partite in quarta travolte dal ricordo e dal bisogno di dire innanzitutto: ballerini non siate timidi, ci sono infiniti buoni motivi per decidere di aprire occhi e orecchie e andare a cercare stage da fare.
Composti, diligenti, educati, ordinati, ma BUTTATEVI! PROVATECI!!! (questo lo dice la Stef, perché lei le mutande non le appendeva fuori dalla finestra…).
Gli stage sono LEZIONI SPECIALI; non dipende solo da quanto sia famoso-stellato-preparato l’insegnante, l’assetto della lezione è differente.
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Ecco perché fare uno stage diventa un momento eccitante, come lo sentivo io. Per me era proprio una cosa del tipo: Visto in bacheca? Preso! Perché poi impari a scegliere quando hai già provato un poco. Io ho scoperto che stavo studiando con Ramona De Saa solo dopo parecchie lezioni. Aveva un accento così suadente, eppure ti veniva vicino decisa; il passo doveva essere preciso mentre lei pareva avere un tocco evanescente. Ti sfiorava appena e invece tutto aveva forza energia potenza. Insomma ci si butta vero Marghe? Noi due eravamo tipi “da stage”: Le stagiste di quei tempi dietro l’angolo?
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Vorremmo provare a darvi uno schema serio, ma abbiamo capito che in molte cose vale ciò che sentite dentro e il consiglio è pensate con la vostra testa, non fatevi abbagliare da apparenze pirotecniche, scavate un pochino e poi via, come prendere un treno in corsa. Però siamo diligenti e ci teniamo ad avere una buona reputazione, quindi proviamo a darvi 4 risposte a 4 domande comunissime.
1) COME?
Esattamente credo, come vi abbiamo raccontato pocanzi: non c’è un modo preciso di fare uno stage. Lo vivete.
2) QUANDO?
In tutte le occasioni durante l’anno scolastico.
Questo è un sicuro arricchimento nel percorso di studio. Le proprie scuole di danza, che sanno organizzare buoni stage (la varietà di tecniche, metodi e stili è il cardine giusto durante l’anno regolare del vostro corso di danza) sono un bel passo avanti, mi permetto di dirlo, rispetto a chi tiene tutto ‘chiuso dentro casina’. E poi d’estate o durante le feste – ponte. Ogni momento era buono per noi… Non vedo perché non valga anche per voi nuove leve.
3) DOVE?
Presso altre scuole va benissimo, e generalmente è più facile farlo nel periodo di vacanza o di pause anche brevi, perché ci si può spostare sul territorio.
Ecco nel periodo estivo che c’è più tempo io consiglierei un soggiorno un poco più lungo in un posto lontano da casa. Massima varietà; esperienza completa.
4) PERCHE’?
La danza è un impegno totalizzante per la persona. Nella vita sono convinta che l’esperienza sia ciò che ci rende ricchi. Di tutto. Ci saranno emozioni positive altre no; ci sarà crescita comunque. Bisogna saper scegliere o farsi consigliare perché perdere tempo sarebbe l’unica eventualità da scartare. Ma si impara un poco da tutto.
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Entriamo nel merito.
a) Durante l’anno si ha modo e tempo per preparare i passi complicati.
In genere, per arrivare a farne uno, ci sono molti esercizi preparatori, addirittura, le esecuzioni di alcuni comprende l’assemblaggio di più preparazioni. Il corpo formerà una sua memoria che verrà in aiuto davanti alla difficoltà tecnica.
b) Durante uno stage questo NON è possibile.
Si esce dagli schemi: durata, intensità e gusto per l’esercizio (odio gli adagi, adoro il battement frappé: lo sanno fino in Ungheria e se ne lamentano) sono completamente differenti dalla lezione che le allieve conoscono a memoria per quanto variegata possa essere; così magari stanno poco attente, pensano a un paio di scarpe (non le punte), al fidanzato, al compito di matematica. Sì, sanno anche che se faranno cose che non piacciono, rischiano la minaccia di essere retrocesse a “gioco danza”; ma volete mettere? Nella lezione in stage c’è l’”opzione mistero”!
c) 
Anche per l’insegnante dello stage deve esserci una capacità rapida ed efficace di comunicazione: ci vuole sensibilità per questa immediatezza. Ci sarà l’insegnante che non vorrete più abbandonare, e giù lacrimoni, o quella che in una sorta di ‘preview’, vi farà provare passi al di sopra delle vostre possibilità, rassicurandovi che ce la potrete fare, sì magari fra cent’anni!
d) 
Suvvia c’è il confronto e l’incontro: non stiamo parlando di pettinature e body delle compagne nuove o nella migliore delle ipotesi dei ragazzi (se ci fossero sarebbe il top!!! La Stef si innamorava sempre, e rimaneva seduta sotto alla sbarra a fissarlo… io facevo pirouettes assistite e grands jétés sostenuti con chiunque sapesse almeno mettere due passi uno dietro l’altro): guardare gli altri danzare è il momento in cui si impara di più.
e) 
Per concludere una carrellata un poco densa, vi ricordiamo che per i laboratori di coreografia oppure per i corsi in cui si studia repertorio è un poco diverso, in quanto o più liberi e aderenti alla poetica ed estetica dell’insegnante, oppure più specifici rispetto al livello tecnico richiesto ai partecipanti.
f) Infine ci raccomandiamo gli accostamenti tra stili.
Non fate classico, break dance e alligalli!!! Perché da voi ce lo aspettiamo, ma il vostro corpicino non se lo merita.

La danza si muove nel mondo. Non sta ferma in un posto e così noi/voi ballerini, ma anche insegnanti e amanti di quest’arte. Possono essere tre giorni, una settimana o un mese… non si sa cosa si può incontrare; questo è il senso vero del “perché sì” sia la nostra risposta assoluta.
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“Perché noi amiamo gli stage, vero Marghe?”
Quelli che abbiamo fatto per noi, quelli che tu fai per i giovani che studiano danza e quelli che io organizzo con passione.
“Certo, Stef! E poi diciamolo, anche per noi che siamo più grandi, adesso: in genere GLI STAGE sono organizzati in bei posti di villeggiatura, in modo che anche gli accompagnatori possano passare giorni piacevoli e prendere la tintarella, mentre voi, cari ragazze-i sarete pronti per fare il catarifrangente in autostrada.”
C’est la vie, c’est l’amour…. Stage mon amour!

M & S (Margherita Mana e Stefania Sanlorenzo)
(ph: Larrio Ekson a lezione)

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