Questa piccola intuizione non è venuta a me. Non posso prendere il merito di un’idea che nella sua minutezza ha rivoluzionato il mio modo di vedere un’elevazione. Certo, magari si è tradotta poco nella pratica, ma è stata una vera scoperta per quanto riguarda l’essenza di essa. IL SALTO è un BREVE VOLO: quella cosa che sogniamo di fare tutti, prima o poi. L’esperienza onirica migliore, anche quando si conclude con uno schianto; non arriviamo fino a lì giacché il sogno si cautela e fa sì che ci svegliamo prima, mitigando l’atterraggio.
La sindrome del supereroe, giusto? La libertà e la leggerezza: la sospensione nel vuoto! Tutto si concentra nell’immagine del corpo che per frazioni di secondo non è attaccato al suolo.
Lo stesso vale per ‘i fuori peso’, ciò che fa intendere che, anche se un arto ha un po’ di aderenza a terra, è in evidentissimo disequilibrio e sta decisamente percorrendo il tragitto fino ad appoggiarsi al suolo.
1)ELEVAZIONE: decollo, spinta, rincorsa. I mezzi del corpo atti a decollare sono le gambe e la spinta che prendono dal pavimento. Piegando le ginocchia per un breve volo verticale, sarà sufficiente stenderle con forza usando i piedi pensando di spingere forte il pavimento. Superman lo fa un attimo dopo aver detto “più veloce della luce”.
Il massimo dell’elevazione l’abbiamo però con ciò che potremo chiamare una rincorsa. Qualcosa tipo corsa, o pochi passi, che possa servire come forma di compressione energetica per far esplodere la spinta al suolo di cui parlavamo prima. In queste forme estreme di volo (per noi esseri umani), si usa coordinare anche gli arti inferiori e spesso rotazioni del busto, slanci e non solo spinte.
2)FORMA: ecco, può essere varia ed eventuale. In aria ci sono più forme.
La prima è quella che abbiamo dopo aver staccato gli arti dal suolo, fa ancora parte del decollo ed è quella che si abbandona per avere quella che vogliamo si imprima nella retina di chi ci osserva. E’ strano chiamarla posizione, perché in realtà è un attimo di cristallizzazione dinamica. Può variare in moltissime combinazioni a seconda della spinta e della durata del volo. Uscendo prepotentemente dall’accademismo, vi direi “a piacere”. Poi c’è la forma che ci prepara all’atterraggio, che non è giusto pensare solo come una serie di manovre atte a quello, giacché anche lei ha una sua rilevanza estetica.
3)ATTERRAGGIO: riappoggiarsi al suolo. Sì certo! Bello stare per aria, dare a noi stessi la possibilità del non peso è una cosa da dei olimpici, da santi o santoni indiani. Un attimo che ci cambia il modo di vedere l’angolazione e le traiettorie possibili. Poi finisce…
Quindi ci si riassetta, rimettendoci nell’ordine di idee che la parabola ha necessariamente una fase discendente. Quindi il cervello si collega con tutti gli organi, apparati, arti preposti e si comincia la discesa. L’ultima cosa che ha lasciato il suolo è la prima che lo riconquista (un piede? CERTO NON LE GENGIVE) poi entrano in gioco gli ammortizzatori: caviglie, ginocchia, la schiena. Il freno è il riacquistare la verticalità, oppure un assetto con almeno un arto a terra.
Ve lo siete mai chiesto perché in “La bella lavanderina”, la filastrocca dice “Fai un salto e fanne un altro”? Vi siete mai chiesti come sareste cresciuti senza la possibilità di almeno un piccolo volo?
Margherita Mana
ph: Parson by Lois Greenfield