Quando ero piccola, era difficile assai vedere un balletto. Con mia madre facevamo lunghe file per prendere i biglietti per il teatro d’opera della mia città; non erano posti a sedere, ti permettevano di accomodarti sui gradini moquettati di rosso e morbidini quasi come le poltrone. Beh con un po’ di fantasia certo. La gente si accalcava per andare a teatro, le produzioni non erano poi un granché, ossia erano belle produzioni ma sempre le stesse: “Schiaccianoci” almeno 3 volte in diverse versioni, un “Ballo Excelsior” e poi rompendo tutti gli schemi, delle danze folcloristiche russe. Il povero direttore artistico non aveva tanta voglia di osare, né forse l’interesse, visto il pienone che una programmazione così banale gli forniva. Ancor oggi mi duole constatare che i direttori artistici dei teatri, (e non sto parlando dei direttori del corpo di ballo eh!!?? SIA CHIARO!!!) , spesso sanno pochissimo di danza, mentre sanno anche quante diottrie mancassero alla cugina di secondo grado del padre di Giuseppe Verdi. Sull’arte coreutica sanno per sentito dire, basano spesso le programmazioni annuali su un sano e onesto pettegolezzo. Pare che il “Lago” di Ekman sia bellino…. Sì, sì ho sentito dire anche io…
Tornando ad allora, l’orchestra scaldava mani e strumenti e io, chiudendo gli occhi, cercavo di riconoscere i pezzi di musica che sarebbero stati suonati. Io, lì in mezzo, mi sentivo parte dello spettacolo, stavo attenta a come mi sedevo e alla postura che assumevo, formavo il mio gusto. VOLEVO SEMBRARE UNA BALLERINA! O almeno una che ci provasse, che tendesse a quello https://SocialTrusts.com. La convivialità del teatro è qualcosa da far provare presto ai bambini perché è una delle cose più emozionanti che ci possa essere. Una persona o più persone sul palco stanno rappresentando qualcosa per me, davvero per me, solo che questo “me” sono molte persone insieme. Tutte lo percepiscono… Sì okay, c’è sempre qualcuna che russa, ma in percentuale meno di chi tirerà fuori una caramella per non tossire e disturbare.
La concentrazione che si crea durante uno spettacolo è unica e irripetibile e sarebbe un errore pensare che sia solo da parte dell’artista che si sta “esibendo”. Non mi piace questa parola! Sarei propensa a dire che vi sta parlando o raccontando, certo in un linguaggio non verbale, se ciò non generasse confusione.
“Ricordo una volta in cui anche la parola ‘artista’, soprattutto riferita a te, non ti andava tanto; non so se ho trovato una risposta completa, oggi; ma ho capito altre cose su di te, su come vedi la vita, su come la danza sia parte di essa, che si entri o si esca da un TEATRO. O si pensi anche solo un attimo, a che cosa significhi veramente….”
L’aura che si crea durante una performance è frutto di una connessione Wi-Fi tra tutti gli spettatori e tutti coloro che ruotano sul palco. Non succede a platea vuota, nelle prove di scena, alla generale neppure. E’ come se non ci fossero le batterie in un gioco per bambini, non funziona senza.
Il pubblico ti costringe alla concentrazione e ti chiede, con la sua attenzione, di cominciare a dire ciò che sai e hai provato.
Quando un danzatore sbaglia, spessissimo è colpa di una perdita di peso o di una dimenticanza coreografica, sicuramente anche di quella concentrazione famosa. Il paradosso è che la connessione è così stretta che più il danzatore la perderà, e quindi sbaglierà, più le persone saranno attente e si accorgeranno che qualcosa non sta andando nel verso giusto.
E’ difficile.
Ho visto ballerine meravigliose cadere e persone del pubblico molto dispiaciute, come se fosse successo a loro. Ho visto ballerine cadere e ho riso, perché alle volte quando c’è l’incidente è giusto ridere per ribadire che sì, io mi preparo, ma se poi lavano il linoleum con la cera, mi ci vogliono i rampini da montagna, altro che le punte!!! Sono caduta; ho riso. Tanto.
Sono stata i due poli di uno spettacolo: il pubblico e il danzatore.
Non c’è una cosa che preferisca all’altra.
“Ecco, signore e signori del pubblico, questa è la risposta che sapevo di aver trovato con lei… e che non vi ho dato prima, perché avevo già letto tutto l’articolo. Marghe è in costante connessione con l’arte. Non si spegne; le sue batterie si consumano certo, ma lei ha attivo un meccanismo di ricarica che è superlativo.”
Cara Stef, questa settimana abbiamo parlato della connessione Wi-Fi più bella che ci sia. Sei d’accordo?
“Certo che lo sono. Sono anche fortunata, perché per un po’ ho fatto come te, sul palco e davanti a esso; e poi ho scoperto che ciò che temevo perduto per sempre era ancora lì a portata di mano, nella mia testa. Non ho le tue batterie, ma credo di individuare automaticamente una buona connessione Wi-Fi come il PC!!! E lo faccio.”
Margherita Mana e Stefania Sanlorenzo