Non so se vi sia mai capitato di avere uno stop. Sto parlando di una di quelle sospensioni percettive di tutto. Quelle volte in cui la vostra attenzione è talmente presa per qualcosa all’esterno da voi, che anche una martellata sullo stinco assestato dalla regina Elisabetta non sarebbe in grado di catturare la vostra attenzione.
***
In piedi e con un rivolo di sudore lungo la tempia, la mascella rilassata troppo, in mano le mani; lì davanti avevo un frammento di statua raffigurante un levriero. Un frammento di levriero: il busto e la testa scolpiti nel marmo. Lo scultore aveva fatto correre quel pezzo di terra e continuava ancora, seppur senza arti e fissato, come su uno spiedo, a un supporto di ferro. Correva dunque verso un punto che non mi era affatto chiaro decifrare dallo sguardo, non vuoto ma lontanissimo. Stavo fissando un cane di marmo che correva, da secoli avanti Cristo, verso non so che cosa ma che, per un attimo, mi ha sfiorata. Non ha provocato vento da scia dinamica, ma una graduale sospensione. L’ho visto passare rallentando, tendendo muscoli di zampe immaginarie, sentendo il suo fiato di roccia, dandomi tutto il tempo di pensare. Cioè pensare no, non riesco a farlo neanche in condizioni ottimali, figuriamoci dopo un incontro con un essere scolpito che corre da secoli, ma ho inconsapevolmente accatastato alcuni pezzi, che da anni ormai mi porto dietro e che, forse, adesso riesco a razionalizzare.
***
Il corpo dell’archetipo.
Questa è la prima cosa.
Non c’è niente da fare: l’uomo ha bisogno di un disegnino e di una rappresentazione. La tradizione orale ci racconta la storia, ma occorre dar modo di visualizzare e di mettere a fuoco un elemento sensibile, che richiami un concetto sotteso.
Di qui, chiacchierandone con la Stef, il passo è stato breve, ma non lineare.
Diciamo che ci siamo poste delle domande a partire dalla più ovvia: Che cosa ricerca la danza nel mito?
“Per me l’inizio di qualcosa che da secoli permane nell’uomo”, mi risponde la Stef.
***
Quindi mi sono chiesta come fosse la rappresentazione di alcune figure femminili mitologiche o legate alla tradizione culturale greca. Quale fisicità era stata loro attribuita? Come si muovevano queste donne e dee? E infine, le facevano danzare?
Le prime statue, prime d’età arcaica, erano giovani (Korai e Kouroi) donne e uomini piuttosto statici, e usati per il culto apollineo, con i pugni chiusi ed elaborare acconciature ricce; un modo di confermare la loro presenza salda, affermativa e abitata dal dio. Ma nel mito e nelle cerimonie religiose già le nostre danzavano e moltissimo. Dalle Baccanti dei riti Dionisiaci, arrivando alle cerimonie e festività legate a Demetra e Persefone.
Cosa stavano aspettando? Cosa doveva succedere?
“Dunque pare che indipendentemente da una ricerca estetica fosse proprio il senso del movimento a venire enfatizzato. Cercavano di comunicare con un corpo danzante”!
Non so, Stef, me lo chiedo.
Ipotizzo: le hanno fatte danzare non intendendo davvero farlo, non potendo sapere cosa noi poi avremo inteso per “danza”; per loro era semplicemente parte del tutto. In qualche modo ce lo racconterà persino Isadora Duncan. Ci arriveremo, forse.
***
Da una piccola isola al nord dell’Egeo, dove c’è un museo archeologico, proviene una statua che mi ha sempre dato l’idea che danzasse, nonostante la posizione del corpo fosse palesemente in non-movimento. Quest’opera è la Nike di Samotracia del 200-180 a.C. attribuita a tal Pitocrito, oggi conservata al Museo parigino del Louvre.
Essa danza.
A me non la raccontate! Avanza spavalda, senza arti superiori ma con i quali riesco a immaginare un grande slancio all’indietro, con il petto proteso e il viso, mancante, verso il sole. Cammina, è vero, ma l’incedere è elegante e il movimento, complice il vento, le scopre una bella gamba tornita, da danzatrice.
***
Stop sospensione, catturo immagine. La vittoria alata danza da secoli, danza incontro a qualcuno che magari siete voi: “Continua a guidare il carro di Zeus!”, aggiunge, pensierosa la Stef.
Bene, vi ho spiegato com’è successo e pare chiaro che non ci fermeremo qui.
Stef ed io iniziamo il nostro percorso attraverso il mito, alla ricerca delle figure femminili che danzano.
Margherita Mana e Stefania Sanlorenzo