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Oggi c’è una grande confusione.
Non mi riferisco semplicemente all’ordine (!!) di casa mia, proprio a un clima generale di caos inteso come una serie di cose buttate alla rinfusa.
A me piace molto l’entropia, perché permette soluzioni originali, d’altro canto mi piace anche dare un nome alle cose, perché mi dà la sensazione, magari solo quella, di comprenderle meglio.
Potrei portarvi esempi di correnti politiche o filosofiche, di musica, di arte figurativa ma lo sapete: alla Stef e a me interessa la danza. Quindi da una parte siamo contente che ognuno trovi il suo stile e contamini il proprio lavoro con influenze che lo ispirino, in compenso mi innervosisco molto, o meglio, ci innervosiamo alquanto, quando questo prodotto non è in grado di essere chiamato.
La lingua (forse non tanto quella degli eschimesi, ma è super comprensibile che non abbia una sola parola per dire tutù, quanto piuttosto 200 per dire neve e 250 per dire foca), qualsiasi lingua è ricca a sufficienza per descrivere il lavoro del giovane coreografo concettuale contemporaneo. Quello che, se intervistato, esordisce dicendo che lui fa “LA DANZA”…

Ah no, ma bravissimo!!! Cunningham faceva sfilate per tutine di lycra, Trisha Brown si occupava di tenere puliti i tetti di NY, Matz Ek era un famoso fisioterapista per il recupero degli strappi al vasto mediale. MAVIPARE??!!
Allora giovane artista potresti sforzarti un attimino e svelare al mondo, ma soprattutto a te stesso, cosa cavolaccio stai facendo?
Ecco perché poi il problema è tutto lì.
Sappiamo che linguaggio stiamo usando col nostro corpo?

Almeno ne conosciamo la matrice, il conio, da che zecca proveniamo, sì? Non è tutto oro e preziosi, ma un tentativo di conoscenza e di spiegazione va fatto. Se no, dite che non ve ne intendete, non avete dimestichezza, piuttosto che affermare che il vostro universo creativo non è classificabile. Vi dò una bruttissima notizia: TUTTO LO E’! La follia è credere il contrario.
Non ho mai chiesto tanto a una coreografia; non chiedo di comprenderla, perché so che non c’è bisogno. Non chiedo di sollazzarmi, guardo un film comico piuttosto. Non chiedo che denunci socialmente: se lo fa, bene, se no, non cambierà la mia visione della giustizia nel mondo.
Non chiedo che sia coerente a se stessa o all’autore, mi piacciono gli svarioni.
Non chiedo sia intrisa di citazioni colte, non le coglierei probabilmente o forse sì, ma mi annoierebbe risentirle.
Vorrei semplicemente, (si fa per dire), essere trasportata in un mondo che è quello dell’autore, sentire che sono nella terra di qualcun altro. Ciò che mi porta alla piena goduriosa fruizione, dico goduriosa ma potrebbe anche essere sofferta, è il linguaggio. Esso non è fatto solo di passi, ma da un insieme complesso di eventi quali il luogo, la fisicità degli interpreti, la musica, la luce, l’aria che muovi, l’odore del legno e delle altre persone che guardano con te. Tutto questo insieme rende specifica e pressoché irripetibile la mia condizione di spettatore in quel determinato momento. Vorrei essere fiondata in un magma di percezioni, che un altro essere umano ha composto per me. E’ troppo?
Va bene ma cominciamo a capire cosa fai e poi rimescoliamo le carte, mio giovane coreografo concettuale. Fai un po’ di modern-contemporary, freejazzpunkinglese, neanche la nera africana? Sì? No? SPIEGACI!!

Prendiamo il pop-corn…

***
“Se avete un capogiro è normale. Io sto messa nello stesso modo e con la Marghe ci lavoro ormai da un po’. So che nell’ordine naturale delle ‘cose’ lei non è prevista per tutto il genere umano (solo una buona parte), pertanto non credo ci siano leggi fisiche specifiche per contenerla. Lei è l’ENTROPIA che aumenta nella vita di chi la incontra. Però ha ragione da vendere.
C’è stato un passaggio evolutivo lungo più di un secolo che ha fatto cose straordinarie nel mondo della danza (a livello artistico); si sono create fratture, nuove congiunzioni, diverse dinamiche tradotte in linguaggio fisico e concettuale. Spiriti emeriti hanno fatto sì che la DANZA uscisse da stereotipi e regole accademiche ferree, per ritrovare se stessa. Nessuno ha distrutto nulla. Anzi, ‘il nuovo’ con difficoltà si è fatto strada finché in tanti hanno capito che attraverso di esso si poteva rileggere anche ‘il vecchio’, fino a esaltarlo.
Nella ricerca si è trovata la trasformazione; ma ciò che muta deve avere un senso proprio per poter essere comunicato. Se non comunica nulla, se non si capisce un accidenti è perché il linguaggio difetta da qualche parte. Ora è possibile che a livello concettuale io non capisca, ma nella danza i miei sensi sono tutti messi in allerta ed essi non possono sbagliare. La percezione è individuale e sensibile.
Finché sono umana, sento. Allora ammettiamo che sia tonta e possa non capire, ma ogni “fenomeno” che si rispetti SI MANIFESTA.
Amo il greco perché è una lingua visiva: il FENOMENO è ciò che appare, qualunque sia la fonte (ϕαίνομαι [fàinomai]: mostrarsi, apparire…), appartiene alla sfera del sensibile (può non essere oggettivo, ma appartiene alla realtà e all’opinione).
La danza è così. Il palesarsi di movimenti corporei tra spazio e tempo.”

Un fiore sboccia, un corpo si muove.

Margherita Mana e Stefania Sanlorenzo

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