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Dal 3 ottobre Compagnia Zappalà Danza e Ariella Vidach aprono la seconda settimana di MilanOltre Festival


La seconda settimana del Festival MilanOltre inizia con I am beautiful di Roberto Zappalà, che torna per il secondo anno consecutivo con due spettacoli (il primo va in scena stasera). La coreografia, ispirata alla scultura di Rodin e al primo verso de La Beauté di Baudelaire, con nove interpreti rende omaggio alla bellezza dei corpi della danza, alla danza stessa e alla sua purezza.

Il 4 ottobre la creazione di Ariella Vidach in prima nazionale coprodotta da MilanOltre e sostenuta da NEXT. HABITData #2 tra passato e presente mette a nudo la relazione tra uomo e macchina, tra biologia e robotica, due mondi alla ricerca di un equilibrio.
I am beautiful costituisce il punto d’arrivo del progetto Transiti Humanitatis, avviato nel 2014 da Roberto Zappalà insieme alla sua compagnia, e comprende le produzioni Invenzioni a tre voci (2014), creazione dedicata alla donna, Oratorio per Eva (2014), omaggio alla figura simbolica di Eva, La Nona (2015), ispirato all’ultima sinfonia di Beethoven, (Premio Danza&Danza come Miglior Spettacolo dell’anno 2015).

A partire dal corpo, tutto incomincia e tutto si consuma ed esaurisce; e la bellezza del corpo considerato come santuario laico dell’umanità è un “pensiero” da difendere e incoraggiare in una contemporaneità dove bellezza, corpi e laicità sono sempre più oltraggiati.

Il titolo dello spettacolo è suggerito dalla scultura di Rodin che a sua volta è ispirata al primo verso di una poesia di Baudelaire La Beauté: «Je suis belle, ô mortels! comme un rêve de pierre». Il sogno di pietra si trasfigura nel movimento attraverso una lingua che ha la sua grammatica e la sua sintassi nei nervi e nelle giunture, nei fremiti e nei sussulti.

In questo spettacolo Zappalà abbandona quasi del tutto ogni finzione drammaturgica per sviscerare ed esaltare fino in fondo il linguaggio della sua Compagnia. Quella di I am beautiful diventa così una danza che assume come categoria fondamentale quella della visceralità «intesa e vissuta come nel mondo contadino, cioè come qualcosa di familiare e quotidiano, naturale».  (da Soltanto di Jan Twardowski)

Le lingue in evidenza, i volti deformati, i corpi in disequilibrio o che sfidano la legge di gravità, all’interno di un disegno coreografico rigoroso e scenicamente scarnificato, sono alcuni “incidenti” che servono a fare arrivare la danza  direttamente al sistema nervoso dello spettatore” (come, secondo John Berger, fa Bacon con la pittura) non al cervello, ma al sistema nervoso.

In I am beautiful la danza stessa parla in prima persona attraverso il corpo dei suoi interpreti; si dichiara bella e mentre afferma se stessa si rende conto che la bellezza che vorrebbe raggiungere non è mai una risposta o una soluzione ma sempre un interrogativo e una ricerca incessante.

È come se alla base di tutta la danza ci fosse un principio d’incertezza che è parte della sua bellezza. La contemporaneità del gesto coreografico che ne consegue consiste proprio nell’esaltare questa incertezza, questo tendere verso, piuttosto che affermare. In un viaggio di andata e ritorno dal palco agli spettatori e viceversa, i binari che portano a destinazione la danza dello spettacolo sono quelli della semplicità e del rigore, della visceralità e, appunto, dell’incertezza.

La relazione contesa tra natura umana e vita artificiale, tra biologia e robotica, delinea HABITData #2 il nuovo lavoro di Ariella Vidach, ideato insieme a Claudio Prati.

Lo performance proposta per MilanOltre è una seconda tappa di un percorso di ricerca che esplora e sperimenta le potenzialità della tecnologia dell’automazione applicate alla coreografia.

Un tracciato di scarti tra presente e futuro, una mappatura di echi, risonanze, specularità̀ inesatte, mettono a nudo la relazione tra uomo e macchina, biologia e robotica, due mondi alla ricerca di un equilibrio che si rivela attraverso il delicato processo cognitivo che scaturisce dall’attenzione e dall’ascolto. Il confronto serve a sottolineare le differenze, particolarmente evidenti nelle sequenze all’unisono che vede impegnati i danzatori così come il braccio robotico. Variazioni ritmiche, accenti e sospensioni aprono lo spazio alternate a gesti che rimandano a rituali contemporanei.

La coreografia è pensata per tre danzatori coinvolti in un dialogo indiretto con un braccio robotico dotato di un occhio-telecamera (kinect) e di un videoproiettore. Attraverso un sofisticato sistema di programmazione, l’automa codifica i movimenti dei danzatori, entrando in relazione con essi e proiettando le sequenze attraverso la kinect in un estraniante gioco di delay.

La relazione tra spazio scenico e realtà aumentata, tra uomo e automa, determina uno sviluppo drammaturgico delle partiture visive, musicali e coreografiche.

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