Dal mese di Febbraio devo scrivere questo articolo. Sono andata al cinema nuovamente per una prima in diretta dalla Royal Opera House per assistere a “Il Racconto d’Inverno”, coreografia di Christopher Wheeldon, musica di Joby Talbot, direttore Tom Seligman, un nuovo classico su pagine shakespeariane e, affascinata dalle scenografie di Bob Crowley, desideravo parlarvene.
Vi elenco il cast (uno dei) dei protagonisti così vi introduco alla storia: “Come distruggere un matrimonio” ….il lieto fine è di rigore.
– LEONTE, RE DI SICILIA: Ryoichi Hirano
– ERMIONE, REGINA DI SICILIA: Lauren Cuthbertson
– PERDITA, PRINCIPESSA DI SICILIA: Sarah Lamb
– FLORIZEL, PRINCIPE DI BOEMIA: Vadim Muntagirov
– PAOLINA, GOVERNANTE PRESSO Ermione: Laura Morera
– POLISSENE, RE DI BOEMIA: Matthew Ball
Si tratta di una ristrutturazione del dramma, adattata per questo balletto in un Prologo e tre atti: piuttosto lungo, ma abbastanza vario. Comunque una produzione che è sicuramente alla portata di un pubblico che ami semplicemente il “balletto” come istituzione, diciamo almeno “oggi”. Oggi, perché anche se il BALLETTO TENDE A SUPPORTARE SE STESSO NELLA PROPRIA INTEGRITA’ DI MATRICE OTTOCENTESCA, in verità può essere scritto tenendo conto del trascorrere dei secoli; fosse solo perché chiunque credo riesca a capire che la sensibilità percettiva delle persone è mutata.
L’arte non sarebbe arte se non resistesse al cambiamento, come dicono dell’amore (Shakespeare, non proprio uno qualsiasi…), concordo, tuttavia questo avviene se noi per primi comprendiamo che il gusto si affina, evolve, muta con noi e ci porta a fare delle scelte. La chiave di volta siamo NOI. Anche la Marghe ed io, intendo!
E se ce la facciamo noi due, Stef, direi che è alla portata dei più!! Scusa continua pure…
Sempre Shakespeare sosteneva che i drammi si percepiscono meglio d’inverno. L’inverno diventa non tanto una stagione, né necessariamente i fiocchi di neve o le principesse di ghiaccio, ma uno stato d’animo, che, attenzione, nell’assunzione del poeta inglese non è derivante da ciò che vedi, bensì la predisposizione che si ha, andando a vedere o leggendo, approcciandosi insomma a una trama sentimentale e drammatica; fondamentalmente umana.
Volendo estremizzare, io mi sono stufata di vedere “Lo Schiaccianoci” d’inverno, come il balletto per eccellenza delle Festività natalizie. Con “Il racconto d’Inverno” il problema non sussiste e felicemente infatti, ve ne parlo a Primavera.
L’andamento è fiabesco a colori pastello. Uno degli oggetti scenici è un bellissimo albero verde nel cui tronco il principe si nasconde nelle vesti del pastorello che non è, ma come tale invece ama e vuole sposare la pastorella Perdita, che non sa di essere una principessa rinnegata e perduta circa 16 anni prima. Gli ingredienti del racconto fiabesco ci sono tutti, compreso il viaggio per mare, le identità nascoste, gli errori di valutazione in amicizia e amore.
Una bella amicizia legava Leonte a Polissene, un amore sincero Ermione a Leonte, ma tutto salta in una follia grigia e in una cupa delusione. La gelosia divora gli animi, il dolore i corpi e le menti. Tutti ne pagano le conseguenze.
La figura drammatica del re Leonte è resa nel recitato in modo molto efficace. Le luci e gli effetti scenici esaltano questo senso di stop: tutto si immobilizza davanti agli occhi degli spettatori, eccetto lui; corroso dal dubbio e dall’incapacità di ascoltare altro fuorché il proprio male interiore. Cedono gli affetti e i corpi si sfiniscono. La regina muore, come il primogenito.
Nella pace campestre di un giovane amore si innesta invece il passo a due di Perdita e Florizel.
Stef quando si parla di Royal Ballet a me viene in mente Bond; James Bond!!! Se ci pensi bene, a voler ben valorizzare le storie inglesi, quanto ci vorrà perché qualcuno cominci a rappresentare Flemming, Doyle, Stout? Scusa continua…..
Wheeldon gioca sui quadri e crea con i passi delle immagini mentali dalle quali si dipana la fiaba. Ama raccontare, ma la coreografia non è sovrapposta all’intento narrativo; così il coreografo crea sempre più piani visivi e fa ciò che da un balletto oggi (appunto, “oggi”) un pubblico potrebbe apprezzare: scrive danza. Cioè fa ballare i suoi interpreti.
Posso capire che vi sembri scontato ma non è così. Tante volte la Marghe ed io abbiamo distinto i piani del BALLETTO e della DANZA. Non cerchiamo né definizioni assolute, neppure però un vagare confuso fra notazioni e approcci coreografici tanto differenti. Cerchiamo di vedere ciò che guardiamo semplicemente.
Ne “Il Racconto d’Inverno” la fiaba scorre insieme alla musica e alle scenografie che mutano, unita agli effetti cromatici e di forme. I ballerini danzano.
Wheeldon vuole proprio questo. Costruisce delle combinazioni danzate che hanno un senso compiuto. Ordinate, pulite e ‘modernizzate’, assembla in modo molto “suo” i passi di sempre. Se il passo a due dei principi-pastorelli non mi ha troppo convinto negli aggrovigliamenti di lei sulle spalle di lui, fra ginocchia e piedi…. Elegante è la danza di Leonte, esplosiva e accattivante quella di Polissene e ho amato la pulizia di Ermione e la cura di Paolina – adeguati i passi al loro ruolo.
Non saprei dire di più di un balletto di questo genere. So che Wheeldon mi incuriosisce sempre.
Marghe! Sospinte da questo vento che gioca come me con le stagioni, mi manderesti il tuo parere su questo coreografo, che mi piace tanto? Sii delicata, per favore, e non disintegrare i miei sogni.
Quello che sta succedendo lentamente, mia cara Stef, è che una brezza primaverile di questo tempo mutevole, diradi un po’ di nubi e che si cerchi di formulare con un linguaggio asciugato dalla mimica e dalla leziosità eccessiva, un repertorio classico degli anni 2000, di cui francamente siamo ancora sprovvisti. Non parlo di rivisitazioni dei classici, ma proprio di creazioni che si appoggino a narrazioni importanti, con compositori di pregio e coreografi disposti a lavorare su un linguaggio classico in evoluzione continua. E’ un lavoro sporco, Wheeldon è sicuramente uno dei più capaci in questo senso, non a caso lavora per la regina Elisabetta… Come 007!
Stefania Sanlorenzo e Margherita Mana