di Stefania Sanlorenzo
Margherita non è questione di essere annoiata, sono proprio stanca; per esempio ho sonno.
“Ti scongiuro Stef, esci di casa o mi diventi una pianta grassa…”
La speranza non è un luogo in cui riposare, ma un punto di partenza: è un cactus, non un cuscino (H. Jackson Brown Jr.).
La citazione mi pungola nel suo realismo spinoso. Semi-sdraiata sul letto con i cuscini dietro la testa sto valutando dei video di danza e delle fotografie; ho già fatto la mia carrellata fra i post tematici e sbadiglio. Dal cellulare in viva voce provengono suoni strani. Il Mari sta godendosi la pace della campagna toscana fra gli ulivi e i mobiletti da levigare….
Cerco di pensare a me come sono: alla continua ricerca di emozioni; e credo che il mio atteggiamento passivo di questo mese non si accordi affatto con la suggestione. Sto diventando ostica, chiusa in me stessa a borbottare contro l’immobilismo del mondo, della cultura, del pensiero; che sto facendo?
Così ostiche e coriacee, adoro le piante grasse, la loro beffarda strafottenza, l’essere burbere per non concedersi alle carezze di chiunque. Eppure, a dispetto della loro atavica ruvidità, ti sorprendono improvvisamente, incastonando delicate grazie floreali tra aculei indisponenti. Un po’ come me. (Michelangelo Da Pisa).
Un po’ come me, mormoro al telefono, colta da un’altra citazione.
“Sìììì”.
ALEKSANDER EKMAN coreografo di origine svedese è considerato un portento contemporaneo, lavora a livello internazionale, richiesto dalla Nuova Zelanda all’Europa, in America, ha non soltanto creazioni coreografiche di tecnica e stile inconfondibili, ma una passione fortissima per catturare l’immaginazione del pubblico con la realtà in palcoscenico: notazione coreutica e oggetti d’impatto, come il fieno e l’acqua, che (Sogno di una notte d’estate e il suo Swan Lake) devono rappresentare in modo tangibile l’emozione danzata e raffigurata. Nel 2010 il Corpo di Ballo dell’Opera di Roma ha presentato un trittico che prevedeva CACTI… comprendete che ha scelto dei cactus per i loro aculei spinosi perché sono da maneggiare con cura, bisogna fare attenzione o in un attimo ti ferisci e senti il pungere e il bruciore. Sono burbere le piante grasse e non indulgono a carezze.
Ecco lì un arrangiamento coreografico geometrico con 16 ballerini in nero e pedane bianche e nere come oggetti scenici di utilizzo: figuriamoci una struttura definita, squadrata e rigida, i ballerini spostano le pedane e ridefiniscono lo spazio; poi inseriamo il movimento fatto di corse cadute contatti. Sulle pedane le pose scomposte dei ballerini, come linee spezzate, tutte diverse. I cambi nei passi, il corpo che interagisce, ma le mani che reggono, in vasi, cactus verdi e pungenti.
Pensiamo al sarcasmo necessario come comunicazione, talvolta oggi, ieri appena dietro l’angolo di un secolo e più quando la danza moderna ha rotto con la tradizione ottocentesca e romantica. Pensiamo all’oggi e a tutto ciò che ci pare scontato. Noioso persino.
Non è così a meno che non siamo noi a volerlo. Lo sa la Marghe che danza. Lo sa il fotografo dello scatto che si affaccia e vede un improbabile fiore ergersi alto dal corpo rotondo e spinoso del cactus del suo davanzale. Lo sa Ekman che nella genialità dell’arte coreografica, la danza sì, ancora e sempre, la danza, vuole che lo spettatore capisca, esca dalla routine e non si annoi.
Lo dice lui stesso: “Ecco io vorrei far vedere ciò che non si è mai visto prima. Non quello che è corretto ma ciò che sorprende lo spettatore. Almeno per me è così: quando vado a teatro voglio essere svegliato”.
“Ci sei Stef? Ehiiiiiii!”
Ci sono Marghe, ci sono.
Fotografia di copertina d’archivio online: ph Peter Greig