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di Stefania Sanlorenzo

Una delle prime frasi che mi disse nel 2013 Margherita Mana fu di non definirla una “artista”.

Non a voce e non riportando tale termine nell’intervista che di fatto era quanto stavamo facendo per il Portale IoDanzo, per cui scrivevo, scrivo e a oggi scriviamo entrambe.

Allora era ancora ufficialmente una ballerina solista, e con ruoli di prima danzatrice, della compagnia MaggioDanza propria dell’ente lirico-sinfonico, L’Opera del Maggio Musicale Fiorentino. Stava portando in scena con i colleghi le ultime creazioni coreografiche prima della definitiva chiusura del corpo di ballo e del “tutti a casa”. Ha danzato e ha lottato, in quel periodo, contro l’ineluttabile destino di tante Compagnie di danza in Italia. Per farla breve, è poi andata in pensione e da quel momento esatto la mia vita è cambiata. Alla Marghe basta un motorino e un treno (o due) e giunge ovunque: danza, insegna, crea, demolisce verbalmente diverse nuove produzioni, svariati e più o meno noti “artisti” del panorama internazionale e nel mentre dice la sua sul Governo, sul Karma, sul Meteo e sulle merendine al pistacchio, parla di DANZA. Potrei azzardarmi a dire che UNA BALLERINA sia UNA SORTA DI “TUTTO AUTOSUFFICIENTE” in un corpo, il proprio, nei peculiari vestiti che indossa, in una borsa capiente e in uno zaino in spalla.

Vi consiglierei anche di focalizzarla così, perché potrebbe aiutarci a procedere senza troppe divagazioni. Rimane il fatto che a livello linguistico non uso tendenzialmente ballerina, danzatrice e artista come parole intercambiabili e non le considero significativamente dei sinonimi bensì strutture linguistiche con punti complementari.

L’introduzione evidenzia due realtà distinte che voglio sovrapporre: un personaggio umano vero (uso la Marghe perché è la mia socia) e dei termini che servono a interagire con l’ARTE TERSICOREA e più in generale con le ARTI PERFORMATIVE RIVOLTE AL TEATRO e-o alla DANZA, perché sarebbe il mio lavoro, una sorta di trattino d’unione – vale a dire il suddetto simbolo grafico – “il trattino”.

Once upon a time … e anche ora.

Margherita solleva un sopracciglio. Gatt8 è già entrato e uscito dalla porta a vetri 100 volte, ma lui è un felino, non trova nulla di snervante nel fatto che una delle due debba alzarsi e aprire e chiudere. Fuori c’è il sole, il vento e il cielo toscano; il verde dei poggi e degli ulivi che io amo tanto. La quiete è perfetta, interrotta soltanto dal cigolio, dallo sbattere delle persiane di sopra e dal chiacchiericcio di Aki e del Mari che discutono di esistenzialismo creativo (anni 10 a 50), trovando come compromesso un disegno (ciascuno il proprio, poi se li scambiano) e la promessa di un cibo “che faccia schifo alla mamma”.

Quindi quel sopracciglio sollevato cui Voi non avete dato peso, è invece tutto esclusivamente per me e la mia personale e karmica affermazione che io il non lo faccio più.

Stef, ascoltami… siamo arrivate inevitabilmente al punto che era già quello di partenza. Nel mondo della danza devi sopportare che ti venga la forfora come l’orticaria e sì, va bene, anche il mal di testa che è peggiore”. Mi passa l’acqua con l’antidolorifico; trangugio, ci bevo il caffè dietro e penso a quel post su Instagram che dice che per il 95% le nostre iniziali decisioni sono determinate dalla sfera emozionale. Poi penso a quello che dice che la connessione fra il movimento danzato e il cervello crea sinapsi che danno emozioni. A chi? A chi danza. Certamente intendeva quello.

Che ne facciamo di chi guarda?

Credo di sapere perché il termine “artista” ci suoni stridulo; ha il solito retaggio medievale, che si è trascinato nel Rinascimento, evocando in noi sia il giullare sia il maestro d’arti. Sa di antico. Poi mi si sovrappone l’immagine di una statua greca avvolta in un peplo con linee fluide su studio perfetto delle forme di un corpo che crei visivamente movimento e penso a Isadora Duncan e al fatale velo.

Lunghe e pesanti gonne spesso sfarzose e femminee, tutù romantico – degas- tutù corto – a cerchio rigido, veli su veli, costumi come seconda pelle per linee essenziali di corpi scultorei, nudo in scena.

Un’amica mi chiede un parere perché è stufa della ginnastica ritmica o artistica (aiuto) e delle gare ed ecc… sta parlando di sua figlia, anni 8; vorrebbe farle fare qualcosa di più femminile e aggraziato, che si accompagni almeno alla musica, così i nonni vanno a vederla ed ecc… (questo è un problema famigliare, fa niente!): ebbene ha pensato all’Hip Hop.

Io lo capisco il Mari che disegna volti urlanti, lo capisco, ma mangio il biscotto che sa di segatura, in silenzio e grata perché la Marghe me lo passa con seria comprensione dell’amarezza della vita. L’amaro stopposo fa bene perché regola l’equilibrio interiore, mentre le cose buone danno una botta glicemica da pauuuura. Io non la contraddico, tanto poi si fa colazione al bar e il caffè si beve amaro per coerenza ma si mangia una pasta con abbondante crema al pistacchio.

Eccomi qui: dalle Compagnie di danza alla Scuole di danza. Esperienza traumatica da dimenticare, perché nelle “scuole di danza” c’è TUTTO tranne l’arte. Concedetemi la generalizzazione impropria, perché so e conosco ottimi e ottime docenti di danza in ogni sua espressione: classica, classica ma non troppo, metodica, creativa, contemporanea, moderna, jazz, musical, hip hop………………. “come LA vuole la mamma, la nonna e la zia”. E perciò ottime scuole di danza, ma io volevo fare il direttore di scena stile parcheggiatore abusivo. Fine.

Amo il “senso compiuto” delle cose, senso che nasce dall’accurata ricerca del significato sia esso evidente e narrativo o astratto, addirittura rimosso da una sorta di sublimazione artistica.

Insomma il termine arte e i suoi derivati fanno parte della danza.

Vediamo una citazione che mi aiuti: “Ci vuole un’atleta per danzare, ma ci vuole un’artista per diventare una danzatrice” (la frase è tutta al femminile, di Shanna La Fleur. Se volete potete pensare comunque a Roberto Bolle, presto in TV: virtuosismo e abilità tecnica.).

Tuttavia indica in generale “chi eccelle”: un chirurgo come un calciatore. Tié!

Stefania tu devi smetterla di farti mettere i piedi in testa. Devi fare ciò che sai fare…”. Allora sono fregata; ma siamo pronti per andare in paese, per fortuna, perché ho bisogno della botta glicemica. Penso a due cose: la forza dell’ispirazione e l’altezza della fantasia. Sono sicura che serva l’azione perché ciò si palesi a chi guarda COME QUALCOSA CHE MERITI DI ESSERE GUARDATO, e per superare l’esperienza selettiva che porta le persone a cercare in ciò che è fuori della propria sfera quanto invece gli è più vicino, consono, riconoscibile.

La prima cosa che un linguaggio non verbale può fare è puntare sulla percezione sensibile. L’arte crea emozionalità dando forme sempre diverse a ciò che è già in atto nella nostre vite. Comunica a 360 gradi. La danza col GESTO.

Non posso andare oltre in questo contesto, posso lasciarvi una frase di una grande personalità artistica che ricucia questi miei pensieri incompiuti.

Trisha Brown: “Il gesto è la parola e la sequenza di gesti è la frase. Con gesti diversi si possono creare anche azioni”.

 

P.S.: “E’ vero che mangio le paste al pistacchio, ma sono MINI CORNETTI. Ecco!”  – La Marghe.

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