Compagnia Zappalà Danza in coproduzione con Teatro Stabile di Catania
Teatro Stabile di Catania/ Teatro Verga, 6-10 febbraio 2019
A.semu tutti devoti tutti ?
3° tappa dal progetto “re-mapping Sicily”
Ripresa dello spettacolo in programma nel 2019 in occasione dei 10 anni dal debutto, per il progetto Antologia di Roberto Zappalà. In coproduzione con il Teatro Stabile di Catania
coreografia e regia: Roberto Zappalà
musica originale (eseguita dal vivo): Puccio Castrogiovanni (Lautari)
altre musiche Dire Straits, Rosario Miraggio, Gustav Mahler, Burt Bacharach
drammaturgia: Nello Calabrò e Roberto Zappalà
danzatori: Adriano Coletta, Maud de la Purification, Alain El Sakhawi, Akos Dozsa,
Salvatore Romania, Antoine Roux-Briffaud, Fernando Roldan Ferrer,
Massimo Trombetta
musicisti Lautari : Giovanni Allegra, basso | Puccio Castrogiovanni, corde, marranzani e fisarmonica | Salvo Farruggio, percussioni | Peppe Nicotra, chitarre
video: regia Nello Calabrò e Roberto Zappalà/ interprete Carmen Consoli
scene e luci: Roberto Zappalà – costumi: Marella Ferrera, Roberto Zappalà – testi: Nello Calabrò
assistente ripetitrice: Ilenia Romano – realizzazione scene e costumi e assistente: Debora Privitera
direttore tecnico: Sammy Torrisi – ingegnere del suono Gaetano Leonardi
direttore di produzione e tour manager Maria Inguscio
una coproduzione Scenario Pubblico/ Compagnia Zappalà Danza Centro di Produzione della Danza e Teatro Stabile di Catania in collaborazione con il Festival MilanOltre
la compagnia è sostenuta da MIBACT e da Regione Siciliana Ass.to del Turismo, Sport e Spettacolo
VINCITORE PREMIO DANZA&DANZA 2009 MIGLIOR SPETTACOLO ITALIANO
La “A” sta per Agata, la santa patrona della città di Catania. La santa martire a cui sono stati strappati i seni per punizione ai rifiuto delle avances del proconsole. A lei Catania dedica ogni anno una festa, che figura tra le più importanti del mondo cattolico. Quel giorno la città si riempie di un solo grido martellante, “siamo tutti devoti tutti!”. Nell’aggiungere un punto interrogativo (siamo tutti devoti tutti?) Roberto Zappalà pone delle domande che disturbano e affrontano il non-detto.
Immaginare, concepire e costruire uno spettacolo su S. Agata, la sua immensa processione e festa a Catania, (fra le più grandi dell’intero mondo cristiano/cattolico) oltre a proporre un’identificazione città /popolo/ santa che trova appunto a Catania uno dei luoghi al mondo dove questo avviene in maniera inestricabile, è volere, più di ogni altra cosa, indagare a fondo un aspetto fondamentale dell’oggi. Il rapporto che si ha con il sacro, la religione, la religiosità. E Agata, una santa, la cui immagine devozionale, (le tenaglie, i seni straziati), in bilico fra erotismo e sadismo splatter, tra le più immediatamente riconoscibili di tutta l’iconografia religiosa cattolica, è “solo” un punto di partenza. Si utilizza un apparato iconografico tradizionale per farlo sposare con il moderno, con la contemporaneità, per dare origine a contrasti e cortocircuiti; per proporre nello scenario arcaico e contemporaneo della festa religiosa le contraddizioni di un mondo dove a essere “straziati”, non sono solo i seni ma intere tipologie umane e concettuali.
Se lo spettacolo non può avere l’ambizione e la capacità dell’Aleph borgesiano di «contenere tutti i punti, tutti i luoghi, visti da tutti gli angoli», ha senz’altro quella di dare, attraverso e partendo da Agata, figura storica e mito, festa religiosa e di popolo, teatro della devozione e della finzione, luogo d’amore e di furore, spazio del riscatto e dello sfruttamento, palcoscenico dove l’individuo si perde (beatamente?) nella massa, uno sguardo profondo e rivelatore su quello che ci fa essere, nel bene e nel male, quello che siamo, che siamo stati, che rischiamo di essere.
La missione: A. nasce dalla necessità, sofferta, e a lungo rimandata, per timore e pudore artistico, non religioso, di affrontare una serie di nodi cruciali riguardanti il vivere in una comunità e l’esserne parte integrante; di indagare e sviscerare il sentimento di appartenenza che una società secolarizzata e medializzata prova verso Dio, la religione, il trascendente. Un rapporto che si configura in due aspetti opposti e complementari; quello privato e quello pubblico, due facce della medaglia di un’ambiguità fondamentale che non è possibile chiarire. Come se il credente (siciliano e non) fosse condannato a questo paradosso: rendere pubblico il proprio fervore mistico, la propria devozione come l’unico modo di manifestare la propria religiosità, ma così facendo rischiare di snaturarla o addirittura di cancellarla. Non si poteva, quindi, tralasciare in un progetto come re-mapping sicily – percorso che Roberto Zappalà ha intrapreso diversi anni addietro con l’intenzione di rileggere la Sicilia attraverso il suo linguaggio scenico – l’aspetto della religiosità popolare, un apparato che nell’isola e in Italia diventa cartina di tornasole per quasi tutto, un teatro d’operazioni che investe e riassume, facendoli esplodere, tutti gli aspetti che interessano l’appartenenza ad una collettività.
«Scena fatta di pareti di reggiseni bianchi che ricordano la tragedia della santa, i sette danno corpo al’eccitazione della massa. E’ una danza d’urto, potente e d’effetto tra autoflagellazioni e processioni, parossismo e brama d’estasi. La donna è sollevata, rigirata tra le mani, esposta, bramata. La processione è estenuante come l’attesa di “lei” in Piazza Borgo a Catania il 5 febbraio. Non c’è confine tra rito e parata: la musica accosta l’adorazione per la Santa all’inno del Catania, in un video Carmen Consoli rielabora alla chitarra il famoso canto per la festa delle monache benedettine, dal vivo i musicisti rincarano l’effetto con percussioni, marranzani e fisarmonica… e la danza si fa mezzo di discussione politica mentre gli applausi per i danzatori e il loro coreografo scrosciano caldi e motivati». Francesca Pedroni, Il Manifesto
«Zappalà non eccede mai, procede per simboli compiuti, ma mai traboccanti e compiaciuti, ha da dire la sua e la dice con la sua danza, ma senza che il messaggio arrivi a sovrastare un’estetica assoluta, in perfetto equilibrio tra ricerca della verità e sua rappresentazione». Filippa Ilardo, Sipario
«Affrontare in scena un tema del genere era un grosso rischio. Zappalà, voce singolare e autorevole della danza contemporanea al sud, c’è riuscito, rinunciando agli aneddoti ma lavorando sui simboli, depurandoli e trasformandoli in elementi astratti di una danza tutta al maschile, piena di energia, ma anche ossessiva, isterica, ora rapida ora rallentata, impregnata di fanatismo come la processione della martire. Uno spettacolo che sottolinea i risvolti SM del martirio di Sant’Agata, nella scenografia fatta di reggiseni bianchi sui tre lati della scena, nel corpo femminile nudo, apparentemente privo di vita, trasportato, bistrattato, sospeso dai sette danzatori». Sergio Trombetta, La Stampa
«Porta in scena una Agatha Patiens, di castissima nudità, circondata da un arredo di straziata corsetteria che richiama la mercificazione quotidiana della femminilità attuale. E quel corpo glorioso e inerte viene sballottato, portato in interminabile processione, per essere riposto dopo il concreto insulto della indifferenza ai valori morali in una parete di muro da dove finalmente volgerà le spalle allo strazio della bestemmia. Potenza di concezione che lascia sbalorditi. Roberto Zappalà e i suoi collaboratori fanno diventare coreografia, musica e scene un tutt’uno espressivo e trasformano l’arte in grido di sdegno». Sergio Sciacca, La Sicilia
«L’“impegno” dà vita a uno spettacolo di grande e densa qualità in cui ciò che conta non è la denuncia ma la capacità attraverso la rappresentazione di costruire una storia “vera”, un dramma. Al centro di questo dramma – dopo un vibrante inizio in cui le movenze e i gesti si scontrano con parole che li smascherano – è il martirio di Sant’Agata, ma quello nuovo e contemporaneo inflitto da luciferini “devoti” che della festa hanno fatto un “affare”. Per gran parte dello spettacolo il corpo bianco, nudo della Santa passa di corpo in corpo, di spalla in spalla, di mano in mano in balia a “devoti” vestiti di un nero saio, disegnando con grande bravura e professionalità quadri caravaggeschi di martirio, scene di flagellazione, crocifissione e deposizione».
Enrico Iachello, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia Università di Catania
Teatro Verga: Via G. Fava 35, Catania
Botteghino tel. 095.7310856 (lun 15/19, mart – sab 10/ 19, dom dalle 16:30 se spettacolo in scena).
Orari spettacolo: 6, 8, 9 febbraio ore 20.45 | 7, 9 febbraio ore 17.15 | 10 febbraio ore 17.30
DATE: 27 settembre 2019, MilanOltre Festival, Teatro Elfo Puccini, Milano (apertura Festival)