di Massimiliano Craus
Raccontiamo un’esperienza inedita nel mondo della danza, soprattutto in questi tempi di pandemia e solitudini a tutte le latitudini. Riportiamo la storia di una coreografa, Carmen Castiello, che per tre mesi ha seguito sei detenute nel carcere di Benevento, con un percorso concepito per risollevarle e ridarle dignità. Un viaggio nei meandri della casa circondariale sannita e nel cuore di ciascuna di loro, compresa la direttrice del Balletto di Benevento e ben quattro interpreti dell’ensemble impegnate in prima persona nello spettacolo “Oblivion” tenuto nell’auditorium di Sant’Agostino sotto l’egida della Questura.
Un percorso che sembrerebbe ad ostacoli e che, invece, ha sortito effetti largamente insperati con la soddisfazione per tutte le protagoniste. Come traspare evidentemente dalle parole della coreografa Carmen Castiello “L’attività corporea nella detenzione può essere un canale di comunicazione e può diventare sostegno dello stato fisico, mezzo di lavoro introspettivo: il corpo diventa una mediazione tra il sé e prendere coscienza di esistere attraverso la comunicazione silenziosa che permette un sano recupero del rapporto con il proprio corpo. Lo spazio dove si svolgevano le attività era piccolo ma con grandi finestre dove la luce e la visione del cielo rendevano il lavoro più leggero e piacevole. Nei nostri incontri nel loro raccontarsi, affiorava continuamente la paura di dimenticare il volto dei propri cari, il mare, il vento e gli odori della vita. Così attraverso i suoni cercavamo suggestioni ed alla sofferenza seguivano abbracci e condivisioni, momenti di dolore e felicità.”
Ma qual è stato l’approccio emotivo e corporeo della nostra interlocutrice? “Attraversavo ogni volta molte porte prima di arrivare, accompagnata dai suoni freddi e metallici di grandi chiavi. L’ingresso che mi accoglieva era quello di una comunità con una parvenza di realtà domestica e continuando a percorrere il lungo corridoio, intriso di profumo di cibo e di caldo che veniva dalla cucina, si arrivava in una sala che somigliava ad un laboratorio. E’ lì che si poteva comunicare, apprendere e relazionarsi durante le attività: lavori esposti in un piccolo sistema sartoriale con manichini, pezzi di stoffa, penne, matite, pennelli e persino un metronomo…..e poi l’incontro con Antonella, Patrizia, Ines, Marianna, Marinella e Lina con una profonda commozione dopo l’ansia dell’attesa. L’incontro è stato con i loro occhi, occhi profondi e sguardi segnati dal dolore. Il volto scavato dal tempo, un tempo dilatato senza limiti! Iniziavamo a lavorare solo sull’ascolto della musica, poi dei rumori e suoni “dimenticati” come il mare ed il vento, i ricordi e la malinconia, un percorso attraverso il quale svanivano i nostri confini per dare spazio ad un viaggio in cui affiorava la paura di dimenticare la vita ed essere dimenticate. La paura di dimenticare ed essere dimenticate mi lasciava una profonda angoscia! Lo spazio della reclusione, del castigo e della riflessione, uno spazio ristretto nella possibilità di svolgere esperienze, dove la percezione del tempo si estende a tal punto da non coincidere più con il tempo reale. L’esperienza della danza attraverso il laboratorio del movimento e della musica dava loro immediatamente la possibilità di appropriarsi di uno spazio interiore e di liberarsi, approdando ad una sensazione di libertà.”
Oltre alle considerazioni della coreografa ci piace sottolineare anche quelle dell’interprete/detenuta Ines, una tunisina trentaquattrenne che si è messa in gioco insieme alle sue cinque compagne di sventura “Le sensazioni che provo quando danzo ed ascolto sono: chiudo gli occhi e sento il mio corpo ondeggiare e ricordo quando io e mia sorella da piccole ballavamo… le nostre risate! Per pochi minuti mi sento nel mio paese e sento il mare e con la mente sono lì.”
Esperienza trimestrale che ha condotto tutte le protagoniste alla scena, proprio come ci spiega Carmen Castiello: “Dopo un mese circa di laboratorio interpretavano i loro gesti con molta consapevolezza e cominciammo a raccogliere idee, impressioni e sensazioni per un racconto coreografico che partiva dalle loro scritture di fine laboratorio. Racconti che parlavano di separazioni da figli, amori e famiglie in un passato che si fondeva al presente. E la paura del futuro che era, in realtà, la paura di non avere un futuro! Lavorammo intensamente ed ininterrottamente, sostenute dalla presenza delle quattro danzatrici volontarie della Compagnia Balletto di Benevento Odette e Giselle Marucci, Ilaria Mandato e Lucrezia Delli Veneri. I loro movimenti si amalgamavano e diventavano un corpo solo per la loro capacità di mettersi in gioco, di comprendersi grazie alla musica dell’Orchestra cosicché i loro volti diventavano più distesi, sembravano riappropriarsi della propria femminilità. “Oblivion” era il titolo della performance, titolo introspettivo e struggente che si riallacciava al concetto della paura di dimenticare ed essere dimenticati da chi e da dove eravamo partite. Un pensiero triste che si trasforma in danza: riuscire a fondere un sentimento profondo, dolce e triste con l’istintualità della danza per potersi ritrovare. Dopo circa tre mesi dall’inizio del nostro lavoro, abbiamo portato in scena la nostra esperienza in occasione di una grande manifestazione organizzata dalla Questura di Benevento, nell’Auditorium Sant’Agostino con la presenza dell’Orchestra e dei nostri indelebili ricordi di un’esperienza indimenticabile.