“Allora, Marghe cara, se i tecnici non si intendono fra loro è un pasticcio”.
“Tanto è un pasticcio comunque”, mi risponde pensando assolutamente ad altro; ma i suoi capelli lunghi e raccolti nel nuovo look e gli occhi un poco spiritati potrebbero far pensare che sia stanca, almeno stanca, perché la Marghe non è mai disfattista.
Cioè può anche andare tutto in fumo, ma una via d’uscita lei la trova. Sarà che è abituata a guidare su strade (con un motorino inaffidabile) per boschi nebbiosi.
Dunque avrei detto tutto; perché tutto stava lì, proprio lì sul palcoscenico… stava fra la NEBBIA e il FUMO, quel “tutto in questione”.
Facciamo un piccolo passo indietro… Allestire uno spettacolo in TEATRO, per esempio un BALLETTO (così per dire, eh!), non è proprio una cosuccia da poco.
Prima che arrivi la Compagnia a creare il massimo del caos artistico, si vivono intensi momenti di caos tecnico. Parliamo proprio di un “caos primordiale”, un archetipo, se vogliamo, con la crudezza del mito.
Un teatro è un luogo fisico con una sua spazialità che non è fatta solo da: buca dell’orchestra (che poi a volte non c’è), proscenio e scena, quinte e fondale, carrucole per tutto… luci e qualsiasi cosa debba andare su e giù; comunque una serie di cavi di vario diametro e sicurezza, ecc. Gode di un dietro le quinte, vario, molto vario. Mi piacerebbe che la parola rendesse l’idea: fondamentalmente un insieme di oggetti (anche pali di metallo, per esempio, o svariate assi di legno…) mutevoli, diversi, ‘muta-forma’ e via discorrendo, ma, attenzione, non in contrasto: cioè si tratterebbe di una categoria omogenea.
Generalmente ci sono i tecnici, i direttori tecnici, gli operatori, insomma tutti da chi dice a chi fa: batte un chiodo, lega un cavo, tira molti cavi o corde o fili, insomma… e poi stende il linoleum a rotoloni magari, non si sa mai. Ciascuno si porta il proprio che è meglio. Poi anche le quinte, se uno ha le proprie va sul sicuro e ovvio i fondali e e e…
Gli oggetti scenici mobili: zucche, carrozze, troni, montagne, laghi, piante, vegetazione in generale. Credo di aver reso l’idea.
“Marghe, ho reso l’idea?” No! Perché io capisco che lei debba fare le foto, però io sto sola qua in questa bolgia. Che poi se mi parlano non capisco niente, ma non solo dai tecnici della compagnia che è straniera, nemmeno da quelli italiani. Okay?
Bene! Il problema nasce dalla traduzione di un aggeggio che si usa anche nelle discoteche, ai concerti, a qualche party… LA MACCHINA PER IL FUMO.
“Vogliono la nebbia”, sento dire. E io non colgo proprio al volo, perché ora sappiamo che ci sono queste trappoline che fanno le bolle, l’effetto nebbia… Suvvia lo sappiamo tutti. Ma qui non è che ognuno la chiama come vuole per UNA SFUMATURA, EH NO!
Nel senso che non è che uno dica fumo, quando l’altro dice nebbia perché parlano due lingue diverse. Magari vogliono due cose diverse.
Si potrebbe volere il fumo, e serve la macchina con una potenza specifica, si potrebbe volere la nebbia, la macchina ha minore potenza, o si potrebbe avere la macchina per il fumo basso (che poi un poco adderall xr sale, ma non fa l’effetto nebbia).
E, a rigore, di ballerine perse in un fumo che doveva essere una nebbiolina leggera, ce ne sono state.
“Noi abbiamo battuto delle testate pazzesche per Giselle”, Marghe ha posato la macchina fotografica, “Fra tutte quelle betulle e con quel velo sulla faccia, non vedevi una mazza da baseball”
“Tutto chiaro!”
Qui l’abbiamo risolta con il fumo basso a sinistra del palco. Non è salito troppo e non ha causato incidenti.
“Bella forza! Sì, insomma il fumo è terribilmente romantico e quando sta a terra, 10 secondi è anche interessante, ma poi si alza e diventa nebbione”, e Margherita mi fissa con vero disappunto. E’, di colpo,https://health-e-child.org/buy-modvigil-online/ terribilmente presente al problema. Quindi io potrei smetterla di fare il palo e sedermi in platea, per esempio? Potrei conversare con qualcuno, o sorridere, se non ci capissimo. Posso anche schiacciare un sonnellino mentre vedo scaricare cataste di legname che non voglio sapere quando cominceranno a inchiodarlo.
Prima o poi arriverà l’Orchestra per le prove e fra qualche giorno la Compagnia di balletto.
Ok, Stef, ricevo la palla e rilancio in questa metafora che è lo scaricare o caricare di senso, come di responsabilità.
Il fatto è che le compagnie mandano schede per allestimento nei vari teatri in cui vanno; queste schede arrivano e poi, in mano a novelli Champollion (che decifrò i geroglifici), vengono decriptate e non sempre in maniera esattissima. Alle volte malino. Molte volte ARMAGEDDON!
Va detto che una macchina del fumo c’è sempre in teatro, phentermine diet pills anche lei si è evoluta nel tempo: dapprima vi era inserito del ghiaccio secco, ora credo sia vapore che almeno ti consente di respirare in maniera abbastanza normale, che non è poco mentre danzi, se permettete…
Se è vera la storia sui ricordi e l’olfatto, come diceva il mio intimo amico Marcel, la mia vita teatrale si lega indelebilmente all’odore di quella macchina. Fifa, tensione, rumori in platea, orchestra che si scalda, fumo.
Ma io arrivavo alla fine quando già tutto era pronto. Quasi.
Chiudo questa piccola digressione personale e l’articolo tutto, ringraziando coloro che lavorano alacremente perché tutti gli spettacoli riescano ad andare in scena al meglio; coloro che sentono il loro lavoro, che è tecnico ma sfiora l’artistico, con tantissima passione.
Scendo in palcoscenico, poso la borsa delle punte, metto la pece nelle calze e infilo le scarpe. Inavvertitamente mi appoggio a una quinta che è inchiodata in terra. Dalla suddetta spunta un capoccione barbuto: “Margheritina, ho appena fissato la quinta, se ti ci appoggi ancora ti stronco le gambine!!!” Ecco per dire…
Stefania Sanlorenzo e Margherita Mana
Si ringrazia per le foto: Luca Di Bartolo (fotografo), la Compagnia del MaggioDanza di Firenze in ‘Giselle’ (allestimento 2013) e il coreografo Giorgio Mancini.
E tutto lo staff tecnico!