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Un progetto nato con l’obiettivo di facilitare la mobilità, il dialogo interculturale e lo scambio di pratiche performative tra gli artisti arabi e le realtà del territorio italiano, realizzando momenti di incontro, sessioni di lavoro e serate di spettacolo: questo è FOCUS YOUNG ARAB CHOREOGRAPHERS che attraverserà quest’anno la nostra penisola tra maggio e ottobre, coinvolgendo ben 11 strutture da anni impegnate nel dare pensiero e visibilità alle molteplici pratiche e poetiche della danza contemporanea.
Selezionati all’interno della BIPOD/Beirut international platform of dance, in collaborazione con la Maqamat Dance Theatre di Beirut, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) e il Ministero degli Affari Esteri (MAE), sei giovani coreografi, tutti provenienti da paesi del bacino del Mediterraneo, sperimenteranno i propri lavori di ricerca attraverso performance, masterclass ed incontri di approfondimento in un tour che spazierà da Torino a Matera, all’interno di spazi e contesti molto diversi tra di loro.
In ordine di apparizione, questi gli artisti e i progetti che saranno presentati all’interno dei festival:
Guy Nader (Libano) in Time Takes The Time Time Takes (TTTTTT): un progetto che nasce dall’ammirazione per il ritmo e la musicalità creati dai movimenti, basandosi sul concetto di tempo-ripetizione;
Hamdi Dridi (Tunisia)  in Tu Meur(S) De Terre: una danza fisica dei ricordi che ricostruisce la figura del padre imbianchino nel suo luogo di lavoro, un duetto sinfonico in cui il dolore della malattia si trasforma in una poesia incantata;
Bassam Abou Diab (Libano) in Under the flesh: uno studio sulla relazione tra le culture, il corpo, la morte e i rituali nato dall’aver vissuto la guerra, prima e dopo, ed essere stato obbligato, nella devastazione di corpo e spirito, ad utilizzare un enorme numero di strategie per sopravvivere;
Jadd Tank (Libano) in Liberté toujours: una performance giocata sulla ricerca febbrile della libertà in tutti i suoi aspetti, segnata da un inseguimento senza fine, come fosse un circolo al contempo grottesco e sgargiante;
Mounir Saeed (Egitto) in What about Dante; un lavoro ispirato all’Inferno della Divina Commedia di Dante, miscelato con lo spiritualismo del Sufismo e la musicalità nata dall’incrocio con inni cristiani e canti orientali, alla ricerca di una fusione tra la spiritualità delle culture;
Sharaf Dar Zaid (Palestina) in To be…: una performance basata sul conflitto tra l’essere ciecamente legati alle tradizioni e l’essere liberamente isolato dalla società, nella quale non si propone una soluzione ma una ricerca tra i due estremi, nel tentativo di trovare un equilibrio per essere nel luogo nel quale si deve e si ama essere;
Si comincia il 25 maggio dalla rassegna Interplay di Torino per finire il 23 settembre a Roma, nell’ambito di Teatri di vetro: una mappa e disseminazione di eventi che nel loro insieme disegnano un concreto intervento di sostegno alla danza contemporanea araba e una straordinaria opportunità di conoscenza tanto per gli artisti quanto per i pubblici italiani

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