La Stef è venuta a trovarmi. Giunge con la sua macchina nuova e mi manda un messaggio su wapp che sta arrivando al cancello e di non sparare. Ora io non ho mai sparato a nessuno, poi visto che c’è il campanello mi domando perché non suoni quello. E pare che io sia quella approssimativa; la verità è che siamo una bella coppia di stordite e invece di completarci, a volte implementiamo la dabbenaggine considerevolmente. Lei è venuta per vedere lo spettacolo al quale partecipavo, montando coreografie e danzando un piccolo solo, (facendomi felice giacché considero queste presenze una forma di gentilezza e affetto supremo). Il tema dello spettacolo era importante; raccontava del percorso femminile nella storia: quali apporti, contenuti, innovazioni si devono a particolari donne che sono nate nel territorio toscano o vi hanno per lo meno vissuto. Quanto la storia ha riconosciuto il loro operato e quanto ha negato o sorvolato sulla loro importanza. Questo spettacolo è stato pensato da Stefania Belli con il pregevole intento di informare e condannare i comportamenti di violenza di genere. Il ricavato è stato devoluto all’associazione “Artemisia”, che si occupa di persone che hanno subito violenze: donne e minori.
Le danzatrici, giovani allieve della scuola, che Stefania Belli dirige, hanno fatto conoscenza con le donne che sono state raccontate; inoltre hanno avuto modo di parlare con delle operatrici dell’associazione che, a seconda della fasce d’età, hanno spiegato questa terribile situazione che le statistiche purtroppo pongono in una evidenza quasi difficile da credere.
Io non entrerò nel merito delle varie performance; vi ho già un po’ raccontato, mi chiedo invece: possiamo rendere la danza qualcosa di socialmente indispensabile? Certamente per me e la Stef già lo è, ma non sto parlando della fruizione deliziosamente legata all’estetica e all’opera d’arte da cui tutti traiamo piacere. Sento dire spesso di quanto importante sia il perseguire la bellezza come forma di perfezione, ma mentre lo ripeto già ho sulle labbra un insopportabile sapore di retorica e so di dirlo perché mi hanno insegnato a farlo. La bellezza di per sé non esiste. Non ha nessun senso se non quello personale e, guarda caso, si palesa in un attimo ed è irripetibile proprio perché così è la nostra percezione, mutevole. Dietro a ogni atto che noi consideriamo bello, c’è un lavoro di incastri che spesso non sono programmabili, ma accadono. So che già questi periodi scritti mi costeranno discussioni e spiegazioni, quindi fatemi continuare e poi dopo semmai ci ritorniamo su. (No, non vorrei!)
Insomma a un certo punto si può incaricare la danza di comunicare ciò che è stato? Anche senza essere narrativa, può il movimento passare la storia? Passarne una, rendendola leggibile e universale? E’ possibile al giorno d’oggi pensare di fare quello, lasciando canoni estetici un po’ indietro rispetto al contenuto? Secondo me, si dovrebbe. Non dico che sia necessario, dico che sarebbe un bene.
Sarebbe bene per non essere autoreferenziali, lo dico a chi fa coreografia.
Sarebbe bene insegnare ai giovani che in questa società in cui regna l’immagine spesso di un’estetica transitoria e perlopiù modaiola, ci sarebbe la possibilità di comunicare con mezzi non convenzionali e alternativi.
Sarebbe bene entrare in un discorso che riguarda tutti, che fa parte del mondo di adesso, bello o brutto che sia.
Badate bene non sto facendo l’elogio del teatro sociale, che pur meriterebbe, ma di una danza che torna a inserirsi in un contesto dialettico che in precedenza ha avuto.
Sarebbe bene che la danza riuscisse a essere se stessa. Un corpo umano che muovendosi ci parla di noi.
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Succede alla Marghe di condensare i pensieri. Tutti profondi, tutti connessi, tutti così elaborati dal suo ‘io’ che necessariamente vanno scorporati. Ora lei ha ragione da vendere in quanto dice, a cominciare dal fatto che mai ho visto che possedeva un campanello: eppure so che c’è un ramo d’ulivo che sembra una trappola di un film di Indiana Jones (vedi se riesci a portare in casa la testa sul collo, entrambi gli occhi nelle orbite e via dicendo…) e che uno dei suoi gatti mi accompagnerà comunque alla porta. Questa è stata la volta di Otto, che non mi conosceva ma è un vero maggiordomo alla Alfred, suppergiù.
Allora la danza si esprime attraverso il movimento del corpo; in questo articolo è l’impersonalità del “si” che ci preoccupa su due piani (sono di più, ma ci conteniamo): quello tecnico e quello riflessivo.
Il primo livello riguarderebbe il vecchio discorso dell’ESTETICA DEL BELLO. Lo abbiamo anche affrontato e proprio adesso ho letto un articolo (che mi ha passato la Marghe) nel quale in una ‘critica’ che si potrebbe sovrapporre alla nostra riflessione, si dice che persino “il bello” è superato (rimasto come stereotipo-fine a se stesso o fuggito in altri contesti molto attuali e popolari) e da che cosa? Dall'”efficacia“. Quanto è vero!!!! La preoccupazione della danza è quella di esternare qualcosa che possa fare colpo, anche se privo di comunicazione. Arrivando a dei contorsionismi mentali nei quali la ricerca sperimentale si perde la realtà del mondo, strada facendo. Pessimo investimento. Magari tecnicamente impeccabile, non sempre comunque; spiace dirlo ma emicranie da stress da performance mi costringono a una sorta di irriverente sincerità. Non stiamo pensando all’astrazione, attenti, stiamo parlando di un ‘allontanamento’ fisico (attraverso la percezione) da noi, dal pubblico, dal fruitore. Lasciamolo così, in sospeso: come se la danza parlasse con se stessa a circuito chiuso.
E qui innesto l’aspetto riflessivo. Non solo la danza può parlare di noi, ma può parlare con noi. Anche in modo semplice, serio raccolto dignitoso come questa esperienza da cui siamo partite. La condivisione di un momento: la mia empatia è stata sollecitata non solo dall’argomento nel suo risvolto storiografico e sociale, ma personale. Ho visto danzare la Marghe (perché mi piace come affronta anni e anni di una vita da ballerina), ho rivisto i suoi genitori, ho chiacchierato con la giovane moglie di un altro interprete, insegnante nella scuola…. ho conosciuto la Eve e guardato dal vivo quei suoi occhi trasparenti e luminosi che contengono una esuberante vitalità. Sono esempi reali per dirVi ancora e poi ancora che la DANZA non è fuori dal mondo, ma anzi offre più modi di partecipazione ad aspetti della vita che sarebbe un peccato andassero persi (anche loro!!!).
Margherita Mana e Stefania Sanlorenzo
Ringraziamenti:
Stefania Belli e le allieve del Sancaballet
Mario Mana per le fotografie
Associazione “Artemisia”