di Margherita Mana
– Ma perché soffre questa povera ragazza?
– Non so, forse le faranno molto male i piedi!
ATTENZIONE questo dialogo non è di pura fantasia, bensì tratto dalla conversazione di due novenni durante uno spettacolo di balletto.
Spinte da questo confronto che gronda senso pratico e acume, tempo fa io e Stef ci siamo poste un paio di domande sull’interpretazione di un ruolo in un balletto. Ho scritto con coscienza balletto, non danza, o teatro danza, danza butoh, pole dance o che so io… Balletto classico: così ci siamo capiti e per favore con cominciate a cavillare, che vi conosco io…..
I ruoli classici, diciamoci la verità, non presentano troppe difficoltà di immedesimazione del personaggio: un principe, una principessa, una contadina, al massimo un pirata… Non sembra complicatissimo e di fatto non lo è. Il nodo della questione però è un altro; quando il tuo ruolo lo devi esprimere col corpo, anzi con l’esecuzione di una coreografia che è stata pensata apposta per tratteggiare il carattere e le umane vicende del personaggio. Quindi devi principalmente essere un danzatore che padroneggia la tecnica molto bene per avere la libertà di giocarti quei passi lì.
La capacità di elaborare sistemi per una maggiore pulizia e i chiaroscuri dinamici sono, direi, i modi per essere aderenti a un ruolo, in opposizione a un più conosciuto concetto di una immedesimazione di carattere attoriale, a nostro avviso. Il punto è che l’interprete c’entri il giusto; dietro c’è un coreografo che ha già pensato come si muoverebbe quella contadina lì, come rendere, con liquidi movimenti di braccia, una fanciulla con ali di un cigno o una ninfetta dei boschi volante.
L’aggrottare di sopracciglia e i sorrisi vezzosi non solo non aiutano, ma non possono che peggiorare. Poi certo, l’aspetto fisico conta, se siete alti un metro e novanta la contadinella può essere un problema come impatto, nella stessa misura in cui lo è l’intenzione con cui si eseguono i passi .
– Oh che bello questo video! La Osteoporova interpreta “Giselle”!
– Non vedo l’ora! Me ne hanno parlato beniss…
-Ma… Sembra “Furia, cavallo del West”!
-Dopato
– Quanta sensibilità per un cavallo cardiopatico.
– Ci credo che poi si senta male povera stella! Stesse più calmina…
– No dai, però l’entusiasmo c’è!
-Chissà che ferr… ehm che punte usa.
Ecco, noi scherziamo ma l’intenzione conta ed è anzi la parentesi: lo spazio dentro il quale si muove liberamente l’interprete in un ruolo.
***
Ci chiediamo allora come si tramandano i grandi ruoli e dunque come si crea la giusta intenzione? E’ un’operazione delicatissima che richiede esperienza sul campo diretta e possibilmente aver ricevuto lo stesso dono/testimone che ci si presta a passare.
Ho assistito a un paio di queste iniziazioni ed è stato commovente. Sì! Perché ci vuole grande sensibilità a suggerire senza prevaricare, impostando un modo di concepire un brano coreografico dando però la possibilità di scegliere soluzioni più aderenti alle capacità del danzatore e della partitura originale. In più ci vuole la conoscenza che si acquista vivendola in prima persona: l’esperienza! Ci vuole qualcuno che te la mostri quella strada lì perché l’ha già ampiamente percorsa; se no i passi sono solo passi e li puoi imparare su qualsiasi video, anche quelli di Furia cavallo del West!
Ricordo Elisabetta Terabust che passava mirabilmente un secondo atto della mia contadina favorita: – Sporgi l’orecchio in questo décalé, ascolta dolente la notte in un bosco. – E magicamente quell’orecchio teso faceva prendere al collo e alle braccia le linee che vediamo nei ritratti di Carlotta Grisi alla prima dell’Opera. In un attimo eri catapultata nel balletto romantico: semplice ed emozionante, in altre parole “nel ruolo”.
Mi è capitato di lavorare con persone che avessero un’opinione diversa dello stesso brano e dello stesso personaggio e fu tragico.
Mi trovavo a preparare una variazione, mi era stata affibbiata Raimonda, per la precisione la variazione dello schiaffo. E proprio sullo schiaffo si era svolto il dramma; vado a spiegare:
Il Maestro Poliakov me la insegna, mi fa battere le mani con grinta prima del port des bras dicendomi che sono una zingara, fiera e sensuale; rimango con quell’immagine e lavoro su quella per un po’ di tempo. Un giorno il Maestro chiede a una ballerina famosissima, la signora Alla Ossipienko, di tenere una prova con me e altre fortunate colleghe che presentavano altre variazioni di repertorio. Sono emozionata e sudo da ferma, le mie amiche sono sulla porta della sala ballo che guardano nervosette anche loro. Inizio zingarescamente e do una gran manata prima di portare le braccia alla seconda. Lei si alza di scatto, ferma la musica alla prima battuta musicale e con l’espressione di chi ha davanti uno che le ha appena rigato la macchina nuova mi dice “Noooo Margherit!!! Principessa, principessa…”
E mostra un delicatissimo sfiorarsi di palmi che mimano quasi una carezza. In quel micro-momento capisco che devo ristudiare tutto da capo. Guardo le mie amiche sulla porta che hanno gli occhi sbarrati come me, temendo che avverrà la stessa cosa con loro; penso istantaneamente a Star Trek, nella fattispecie al teletrasporto. Dunque l’interpretazione in questo caso era divergente tranne che per alcuni tratti che alla fine ho seguito piena di gratitudine, la stessa che sento ancora adesso per entrambi quei maestri e per il fatto che poi Star Trek non è servito.
Questi sono gli assi cartesiani; abbiamo bisogno di qualcuno che ci spieghi quali sono le coordinate e ci impedisca di aggrottare le sopracciglia, perché ricordate che a nessuno piace vedere una ballerina col mal di piedi: soffrite dentro e non date soddisfazione.