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di Stefania Sanlorenzo

Io sono Medea,
tremenda ai nemici agli amici benigna”

Perfetta ed imperscrutabile avanza verso il proprio destino. Le nuvole corrono veloci, nembi sempre più scuri. La luce bianca sono lampi, flash, linee che si stringono o si allargano, includendo EMOTIVITA’: dolore, infelicità, determinazione, follia.
La danzatrice Viola Scaglione (direttrice artistica del BTT, figlia d’arte, docente di danza contemporanea), entra in scena e nell’attimo stesso è MEDEA.

 

Io sono Medea,
e su questa via mi sono incamminata”

Rabbia e dolore vivono in lei, angoscia e infelicità. Oppure la consapevolezza di un ‘ineluttabile dovere’ si fa strada dentro di lei. Agirà. Invoca gli Dei, la giustizia e l’ingiustizia divina e umana.
Quale strazio interiore sta contorcendo Medea?

Qui inizia la danza. Tutto intorno a lei si muove. Eppure danzerà sola quasi per tutto lo spettacolo. Alcune interazioni, qualche contatto. Una presa, un gioco, la morte che sopraggiunge netta: uno sparo nel buio, due… il secondo. La colata di sangue.

Qual è il registro drammatico di questo lavoro? Una realizzazione che ha coinvolto il Balletto Teatro di Torino (opera per sei danzatori) con la collaborazione di Piemonte dal Vivo: al violoncello/GIASONE il maestro Manuel Zigante (Rivoli città in Musica), per la regia Giorgio Li Calzi e per lo spazio scenico gli effetti visivi e le luci Massimo Violato.

Il pubblico confuso dal fumo, accecato dalle luci sparate contro, guidato dalla voce narrante (Michele Di Mauro) sa chi è Medea, forse (anche se ricorda l’interpretazione della Callas nel film di Pasolini e varie riscritture e riletture….) è facilmente legato all’archetipo del mito di Euripide (431 a. C.): la maga, Giasone e gli Argonauti, il vello d’oro…. L’incontro e l’incomprensione fra due civiltà; tutto quanto faranno sentire esule e sola Medea. Ferita: non più donna (una principessa) non più moglie, non più madre. Furiosa e folle?
Mentre guardo attraverso una nuvoletta di fumo che si sta disperdendo, proprio nel mio raggio visivo, poco distante da me, allora mi pare di capire ciò che la danza dice allo spettatore. Non è ciò che vedi la verità, bensì ciò che ti è celato.
La musica? Le corde che vibrano sono Giasone. I bambini sono i figli/spettatori e complici…. Stai cercando Medea in quel disegno a terra insieme agli altri danzatori (il fratello, che lei uccise per primo, nel mito… per poter fuggire via dalla propria patria)? Stai vedendo la parte narrativa: tutto quanto viene narrato a quadri della storia, del mito, degli “accadimenti”. Siamo già contaminati perché in verità ci furono varie letture di questa figura femminile… addirittura una che non la vide né maga né assassina.
Tutto cambierebbe, come se in Romeo e Giulietta il tempo fosse stato a loro favore. Invece quella donna che cammina, passo a passo, con tutti i muscoli in tensione, un piede solleva e cerca di nuovo l’appoggio, il viso non muta, bella, un corpo che attraversa lo spazio tangibile della scena, lo sposta con cautela, ebbene deve essere lei: tende i muscoli delle braccia, le ruota, solleva una gamba, le dita dei piedi flesse e questa rara tensione che attraversa un corpo che si muove in linee cercate, in appoggi sospesi di fa trattenere il fiato. La sua pelle è così chiara nel nero, nell’assenza di colori, nella presenza costante dei chiaro-scuri, nel grigio fumo che non la riveste. Il pubblico non cerca neppure un tecnicismo. La danza contemporanea aiuta perché il corpo che si muove modella se stesso nell’istante stesso in cui cerca non la figura, perché l’attimo è passato, ma il “picco dinamico” che sale per cadere. Medea danza con delle non-immagini sonore proiettate sullo schermo-fondale. I Ballerini entrano dagli angoli.
Guardiamo dall’alto per vedere le spirali a terra, le contrazioni e le spinte che muovono e spostano. Le teste che si accostano, le mani che si protendono. Un gesto. Lo ripetono. L’hai visto pubblico? Perché c’è uno sdoppiamento, che è sempre esistito in questa figura femminile e che la regia e la coreografia, che vi siano piaciute o meno, hanno trovato e lo hanno proposto con cura.
Una è Medea il personaggio. Ed è il contesto a reggerla. L’altra è la psiche di Medea. Ed è la danzatrice a palesarla nella sua assoluta e tragica verità.

 

 

 

Molte scelte particolari hanno sostenuto il pathos fino alla fine, a tratti fortemente cinematografiche: lo schermo, la maschera (Alessandro Albert), gli oggetti scenici e gli effetti visivi sono quelli di un film noir che compenetra con il proprio linguaggio (da Pasolini a Von Trier) il linguaggio danzato, cui però la danzatrice Viola Scaglione e i suoi ballerini non vengono mai, e sottolineo mai, meno. Per me, questo fa la differenza.

Si tratta di calibrazione artistica e consapevolezza del registro che si vuole utilizzare.

Vi lascio a lei, Medea, all’intensa e visivamente valida scena finale che rappresenta la catarsi, assolutamente in linea con questa lettura più umanizzata che non esalta la rabbia, la vendetta e l’odio. Il pubblico si alza con la stessa domanda con cui si era seduto. Come è possibile che esista un atto catartico verso un gesto tanto atroce come l’infanticidio? L’oggi incombe. Forse non assistiamo ogni giorno a qualcosa di uguale o simile, che sentiamo come altrettanto inaccettabile e imperdonabile?
Medea sono secoli che lo porta con sé.

Io sono Medea,
“e capisco quali mali dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione, la quale è per gli uomini causa dei più grandi mali.”

26/05/2019

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