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di Guillermo Fiorenza

Ricordo da piccolo l’insistenza dei miei genitori per riuscire a fotografarci, ricordo uno dei miei fratelli, molto collaborativo, che oggi a distanza di 50 anni appare ancora sorridente e felice. I miei ritratti, invece, erano piuttosto cupi, mi sentivo come un ostaggio. Qualche volta la sessione fotografica si realizzava in spiaggia e lì mi capitava di essere altrettanto serio ma per altri motivi, era per timidezza perché ero molto magro, perché avevo sempre freddo e non volevo mostrare agli altri la pelle d’oca che ne conseguiva. 

In un’altra occasione, il primo giorno di scuola, io e la mia sorellina siamo stati obbligati a prenderci per mano e anche lì, il mio sorriso non è apparso come tutti avrebbero voluto. Pantaloncini corti, divisa quasi militare, molto nervoso e insofferente davanti a tutto lo staff, fotografo, madre, padre, altri fratelli, tutti che mi chiedevano di sorridere e restare fermo.

Penso di parlare per me e per molti colleghi che conosco: penso che il fotografo per natura sia una persona timida e riservata, il tipo di lavoro è piuttosto individuale, inconsapevolmente o no, ci si nasconde dietro la macchina, nessuno ti vede mentre scatti… in un certo senso fai la vita degli altri, ti sposi se sei un fotografo di matrimoni, balli fotografi la danza, corri e salti se ti piacciono gli animali, sei triste, allegro, pensieroso, cerchi la solitudine e la natura, altre volte cerchi la gente, un gesto ti sorprende, trovi geometrie o colori particolari, per un istante della tua vita o per molto tempo; tutto passa dal mirino fotografico, vedi il tutto in un rettangolo.

Se ami l’arte, ti piace la perfezione, vuoi fermare l’istante, renderlo permanente, spesso (come tutte le cose che ci piacciono molto) può un po’ nuocere, ti dimentichi o rischi di dimenticare il mondo che c’è all’infuori dalla fotografia, non vai da nessuna parte senza l’apparecchio fotografico, entri in un museo e non fai in tempo o non riesci proprio a respirare l’ambiente, a sentire gli odori e vivere quello spazio e quel momento in una dimensione normale, come fanno gli altri.

Per un po’ di anni mi è mancato un tutto questo: essere un semplice spettatore, sentire i profumi, ascoltare la musica, toccare, vivere la vita tale quale fosse e perché no, farsi un autoritratto, raccontarsi, spostare gli sguardi verso altre direzioni senza nulla davanti.

Con la danza e il teatro purtroppo non ho mai avuto un buon feeling personale; da giovane ho provato a studiare qualcosa, ho frequentato un corso di mimo e amichevoli corsi di balli da sala ma tutto purtroppo senza alcun successo. Non mi rapportavo bene con il mio corpo, la timidezza continuava a far i suoi progressi e notavo con il tempo una predisposizione alla solitudine. Per di più, cosa che di solito non racconto, avevo una passione sfrenata per il gioco degli scacchi, altra gatta da pelare… soddisfacente comunque, coinvolgente da molti punti di vista… vincendo alcuni campionati e ottenendo, appena arrivato in Italia, il diploma di istruttore di scacchi erogato dal Coni.

Posso constatare inoltre un’infinità di circuiti e processi mentali che confluivano direttamente e con insistenza nel mio senso ottico, così per molti anni studiai grafica, disegno e pubblicità. Con il disegno mi andava sempre malissimo e questo credo sia stato l’elemento scatenante che mi ha portato a dedicarmi alla fotografia. Scoprii in questo modo la mia unica destrezza fisica reale, posata unicamente in un solo dito. 

Non ho altre doti note, non è nemmeno un vanto averne una, dobbiamo sapere o almeno io lo so, che la propria bravura (per così dire) è sempre il sintomo di una mancanza, una limitazione per un’esistenza diversa e ci tenevo a raccontarlo.

Ci proverò comunque, a ricollegarmi nel miglior modo possibile con il mio corpo, a integrarmi in maniera diversa con il tempo e lo spazio che mi circonda, a dominare la fisica che ci completa. Ballerò un giorno.

La fotografia della danza mi ha sempre appassionato, girando l’Europa per gli eventi cinofili, trovavo sempre l’occasione per usare molti rullini per gli spettacoli che si svolgevano sul ring d’onore. Mentre i miei colleghi fotografi cinofili approfittavano per uscire e fumarsi una sigaretta, io mi scatenavo con le raffiche. Così ho potuto conoscere numerose danze autoctone, principalmente dell’Europa dell’Est e dei paesi iberici, alcune non mi piacevano molto come fotografia, questo dovuto più che altro alle mie poche conoscenze, ma vedevo e apprezzavo il piacere con cui danzavano. 

Oggi mi piacerebbe conoscere e frequentare eventi di danze autoctone ma non solo, io credo che un fotografo debba sempre pensare alla propria preparazione, sapere il più possibile del soggetto ritratto, serve molto nella fase delle riprese, in quella dei preparativi delle riprese oppure davanti al Pc quando si deve distinguere bene tra un’immagine di pregio tecnico fotografico da una che non lo è. 

Con la danza so tutto quello che mi manca, sento di sapere molto poco, i dubbi e le incertezze sono tante, anche da un punto di vista della definizione, della sua storia, non posso avere già un’opinione o una preferenza anche se ci viene spontaneo e così ci comportiamo costretti ma anche volonterosi a fare delle scelte. Un po’ come può capitare a un danzatore principiante quando pensa di non sapere ballare ma che comunque si deve muovere. Un primo passo lo deve fare. 

Posso forse sapere molto di fotografia ma se non conosco il soggetto o non conosco bene l’oggetto, gli errori si possono commettere. 

La sfida di un bravo fotografo di danza penso che sia quella di riconoscere il momento opportuno per lo scatto, limitando il più possibile il numero di errori. 

E beh, amici, questa cosa non è molto facile, serve aiuto.

 

 

 

 

 

(N.d.R. Vi lasciamo in questa pagina alcuni scatti perchè, nonostante i suoi dubbi, che caratterizzano l’uomo di estrema intelligenza e sensibilità che è Guillermo, iodanzo.com è orgoglioso di ospitarlo sulle proprie pagine credendo fermamente di aver visto raramente tanta arte e tanta perfezione)

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