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Compagnia Zappalà Danza e Comune di Catania presentano
Panopticon / il teatro igienico
opera installativa di Roberto Zappalà che intreccia danza e arti visive 
in collaborazione con Maurizio Leonardi
coreografie Filippo Domini Fu, Fernando Roldan Ferrer Kalokagathia
Adriano Popolo Rubbio Naca, Joel Walsham Re del nulla
set e luci Roberto Zappalà
una produzione Scenario Pubblico/ Compagnia Zappalà Danza Centro Nazionale di Produzione della Danza 
la compagnia è sostenuta da MIBACT e da Regione Siciliana Ass.to del Turismo, Sport e Spettacolo

«Alla luce del disastro umano, sociale ed economico che abbiamo vissuto nell’ultimo periodo, gli effetti negativi sugli eventi artistici non si sono fatti attendere, presto tutti ci siamo accorti che anche il mondo delle arti performative avrebbe subito pesanti conseguenze. Il compito dell’arte quando ci riesce continua ad essere quello di individuare prima degli altri alcuni passaggi dell’attualità, anticipandone i “rimedi”. Le restrizioni che i teatri stanno subendo in relazione al numero di spettatori che possono seguire le performance a causa del Covid-19, sta creando non pochi disagi. Panopticon, si pone come obiettivo quello di ragionare e in qualche modo ribaltare la percezione della solitudine, del controllo, della protezione dell’individuo.

L’intenzione è di far diventare protagonista il contenitore, lo spazio, almeno quanto il contenuto, il performer e il messaggio del suo gesto». (Roberto Zappalà) 

Dopo mesi di chiusura dovuta all’emergenza sanitaria Panopticon / il teatro igienico, l’opera installativa di Roberto Zappalà, prenderà forma dal vivo, non appena si potrà, al Museo Civico Castello Ursino in co-organizzazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Catania

Panopticon vedrà speriamo presto finalmente la luce in una dei luoghi più affascinanti e importanti della città siciliana, mostrando così di essere un progetto versatile. Un progetto che intreccia arte, architettura e danza. 

«Usare uno spazio scenico o meglio un’installazione che al suo interno possa contenere diverse anime è il felice raggiungimento di una mia più ampia idea – specifica Zappalà – che è basata su ciò che sottolineava Baudelaire: «Glorificare l’immagine ancor prima che il significato». Non c’è a mio avviso niente di più contemporaneo di questo “semplicissimo” pensiero. L’idea che l’uso dello spazio, la sua estetica, unita all’estetica che imprimono gli interpreti possa essere protagonista è ciò che di più caro ho sempre desiderato di ottenere». Proprio la volontà di far diventare protagonista il contenitore almeno quanto il contenuto, ha spinto Roberto Zappalà ad affidare le creazioni coreografiche a quattro danzatori della sua Compagnia: Filippo Domini, Adriano Popolo Rubbio, Fernando Roldan Ferrer, Joel Walsham.

Come sottolinea l’Assessore alla Cultura del Comune di Catania, Barbara Mirabella, «a fronte della necessità del mondo teatrale di tornare ad esprimersi “dal vivo”, questa iniziativa di grande qualità artistica, proposta dalla Compagnia Zappalà Danza, si inserisce perfettamente in questo preciso momento storico; questo perché rappresenta con un’installazione alternativa l’odierna condizione della segregazione/prigione, del distanziamento sociale e dell’isolamento dell’individuo, ma anche il desiderio di “sbirciare” cosa facciano gli altri, per riprendere pian piano ed in sicurezza il rapporto tra spettatore e performer, per riappropriarsi degli spazi dell’arte in una nuova prospettiva.
Lo scenario del Castello Ursino, anche in ragione della sua storia nei secoli di fortezza, dimora reale, carcere e infine luogo di bellezza e cultura, è il palcoscenico ideale sul quale rappresentare questa dicotomìa fra la libertà dell’espressione artistica e la condizione umana soggetta a limitazioni continue e contingenti».

Panopticon / il teatro igienico parte dalla volontà di replicare ed emancipare il concept della rassegna delle “nanoperformances”, attiva da 5 anni a ScenarioFarm a Favara. È una riflessione non obbligatoriamente pensata in funzione del Covid-19 ma che ne prende spunto per una più profonda analisi sulla condizione dell’individuo messo a dura prova e sempre morbosamente controllato.

Panoptes, gigante della mitologia greca, che possedeva un centinaio di occhi e ritenuto quindi un guardiano perfetto, dà il nome al carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham. «Il nostro è un poligono con numero variabile di lati, realizzato in ferro e tulle, esalta la dimensione della segregazione/prigione così come del distanziamento/isolamento sociale oltre che del voyeurismo. 

Nel nostro proposito l’osservatore non controlla chi lo circonda come nel caso del progetto originale di Bentham. Saranno gli spettatori stessi che controlleranno il performer, isolati sia da lui che l’uno dall’altro, alludendo in tal modo anche all’ “Anopticon” di Umberto Eco che, in quanto opposto del Panopticon, deresponsabilizza il sorvegliante ponendo la domanda: chi sorveglia i sorveglianti? 

Il nostro obiettivo punta a creare un corto circuito tra sorveglianti e sorvegliati ma vuole anche rendere l’architettura scenica autonoma e protagonista» (Roberto Zappalà). 

Maurizio Leonardi, che ha collaborato al concept del progetto, descrive il «Panopticon di Zappalà, come una sorta di parodia delle architetture “difensive” e, lungi dal volersene fare beffe, mette in scena, criticamente, alcune delle contraddizioni e irrazionalità da tempo presenti nella nostra vita quotidiana, che sono prepotentemente emerse durante il recente periodo di segregazione.

Tra l’urgenza che hanno gli artisti di sostentarsi continuando a esercitare la disciplina alla quale hanno dedicato la loro vita, il bisogno dei teatri di sopravvivere al fermo forzato e il diritto del pubblico al nutrimento dell’anima attraverso la fruizione dei prodotti artistici, si inseriscono le tre parole d’ordine pronunciate da scienziati e da politici: igiene, distanza, protezione, facendo confliggere il tutto in maniera difficilmente ricomponibile. Con Panopticon l’evento collettivo dello spettacolo live ritorna in scena al sicuro dalla potenziale minaccia rappresentata dal vicino e dall’artista che si esibisce. Una sorta di peep show collettivo, in cui l’ossimorica Gesellschaft der Individuen di Norbert Elias trova una perturbante rappresentazione grazie all’esempio di teatro igienico che è questa installazione».

Il Panopticon di Roberto Zappalà assolve ad una funzione sociale di riavvicinamento perché il pubblico entra ed è parte dell’opera d’arte. Al Museo Civico Catello Ursino l’installazione Panopticon diventa quotidianamente parte integrante del percorso museale e, al suo interno in alcuni giorni si potrà “incorrere” in brevi performance in alcuni giorni e orari specifici.

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