Il mese scorso, un febbraio mite ma piovoso, ci ha lasciato Violette Verdy.
Vi dico di lei brevemente: francese del 1933, debutta con Roland Petit all’Opéra di Parigi, ed è “Prima Ballerina” in tutti i maggiori teatri europei negli anni ’40 e ’50. Si trasferisce negli States e nel ’58 diventa “Principal” al NYCB dove George Balanchine – proprio lui in persona – crea per lei una sfilza di capolavori.
Nel ’77 dà l’addio alle scene e diventa direttrice dell’Opéra di Parigi; tornando a casa.
Così, arrivati a questo punto della storia, voi direte, rileggendo un po’ più in su il titolo, che sì, Violette ne aveva ben donde a sorridere. Sì, dico anch’io: una carriera favolosa e degna di un’artista la cui personalità ha continuato a manifestarsi negli anni di una lunga vita, poi dedicata anche all’insegnamento, con quel tocco tutto personale, quando arrivava a lezione, indossando i completi blu e le scarpette rosse. Un portamento delicato come il suo nome.
Spesso piccole cose hanno un senso profondo, noi sentiamo così.
Per questo, credo, mi metto a riguardare le sue foto: giovane star in posa, bellissima, elegante: un tempo si cercava proprio quel tipo di eleganza che a noi oggi sembra démodé… guardo quelle scattate in teatro, in sala prove, e quelle chiaramente fatte davanti alla macchina fotografica per strapparle un ritratto e sento che c’è altro.
Fotografie di ballerine in posa ne vedo tante, tutte bellissime.
Foto con tutti i loro bei pixel, tanti – tanti, e corpi di marmo, volanti o con posizioni estreme, estensioni innaturali che sembrano un errore di montaggio. Vedo i vestiti svolazzanti che giusto la bora a Trieste in gennaio può concorrere.
Oppure corpi nudi o quasi che mostrano le possibilità di loro stessi, immersi nell’acqua, nella natura, nella farina, nel miele e, vi giuro, corpi sottovuoto.
Il pensiero si mette a correre nella mia mente e arriva fino a Stef, che ha già scritto un articolo e pubblicato un paio di fotografie. Le ha scelte belle, le ha accostate con cura. Queste fotografie cominciano a girare sui social. Eppure non ha questa, questa che tengo in mano io. Così faccio in modo che la veda anche lei, che scrive di quei corpi perfetti nei quali da una vita cerca, cerca delle risposte, intorno alla danza, conferme di cui parlare, di cui occuparsi con passione e qualche volta, lo so, scuote la testa davanti a quei corpi sottovuoto perché proprio solo di questi si parla.
Tante stelle della danza si prestano a questa esposizione; perché non dovrebbero?
La bellezza, possedendola, non si nega, la si regala. E ci sembra giusto, ora che ne parliamo, Stef ed io.
Io però mi chiedo quando i ballerini abbiano smesso di sorridere.
Quando abbiano cominciato a diventare Dei, distanti come statue greche, impersonali e allo stesso tempo possessori di una fisicità che dovrebbe dire ma tace di contenuti.
Perché al contrario di queste immagini, la danza ha sviluppato e ha mostrato l’interiorità dell’uomo, con mille linguaggi del corpo – certo, anche quello puramente estetico – ma assolutamente non solo quello.
Perché mai non sorridi?
Perché mai non ti è richiesto di essere complesso, come in realtà sei? Che cosa deve offrire a me che ti guardo questa forma estrema di semplificazione?
Queste domande mi vengono così, ve l’ho detto, di corsa rotolano giù giù verso delle possibili risposte.
Stef mi dice di scrivere “di quel sorriso”, perché lo fissa anche lei ora e vede quello che ho visto io, il giorno prima.
La ballerina è il femminile dell’astronauta: il traguardo di ogni sogno fanciullesco, danzare con un meraviglioso principe, indossando un bellissimo tutù, è come andare sulla luna, stessa roba!
Come tutte le cose dei bambini sembra semplice e naif, mentre in realtà è un concentrato di sostanza.
Ora non sono così pazza da pretendere un sorriso quando il ruolo non lo richiede, ma trovo interessante la presenza umana nei corpi. La ritengo l’unica e plausibile ragione per avere un corpo da mostrare: la sua umanità.
Le persone come Violette Verdy sorridevano nelle foto, risplendendo di quella luce che è propria di chi ha capito che esistono traguardi e mete raggiungibili e che se non ce la fai da solo, la bellezza e la complessità della natura umana ti daranno una mano.
Immancabilmente.
M&S (Margherita Mana e Stefania Sanlorenzo)