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Perché Romeo è un taxi che mi porta a teatro.

Il calendario non mente, di tutta la settimana con sole e 15 gradi ogni giorno, oggi dava neve. Perciò nevica e io devo andare a teatro. Insomma non è che ci vado proprio tutte le sere; il più possibile durante l’anno, certo, perché assistere agli spettacoli dal vivo è un’esperienza a sé, anche per chi sta immerso in fotografie e video e notazioni coreografiche tutti i giorni e magari sala studio con annessi e connessi, chi come noi, dico noi due: Marghe e Stef. Comunque andiamo a teatro, il più possibile, riunendoci o ciascuna alla propria base.

Ora la neve marzolina può starci, dopo un inverno strano, in un continuo alternarsi di freddi e caldi, e poca acqua o poi lunghi giorni di temporali, fa naif sulle mie pratoline appena piantate, ma proprio la sera del teatro? E in più il fisico non sempre gradisce gli sbalzi climatici e i virus influenzali pullulano che è un piacere.

“Ma non solo l’influenza è virale!”, arriva attraverso il cellulare un gemito probabilmente febbricitante: “Guarda siamo di fronte al solito fenomeno di cartellone identico in più teatri…”
Sicuramente Margherita sta soffrendo perché concentra le produzioni teatrali di metà stagione: da novembre a marzo.
“Io non so come succede che se a Parigi si programma ‘La figlia del faraone’, anche al teatro comunale di Aci Trezza lo presentano trionfalmente.” – Si soffia il naso – “Non voglio dire che ci si copi, per carità, accade sempre e ovunque. Come se un filo di pensieri, un suggerimento nell’aria, un nano secondo di musica, sentita in televisione, aprisse le possibilità di una riedizione.
Un virus. Esattamente come la mia influenza!”

Siamo arrivate al dunque, vado a vedere “Romeo e Giulietta” e stiamo appunto parlando di questo contagio di ceppo shakespeariano che si è propagato un po’ in tutta Europa, dalle compagnie più grandi a quelle più piccine. Io sto chiamando il taxi perché non mi sento di guidare con la neve e Margherita ha il termometro in bocca, che non le impedisce di chiedermi che ne penso.
Di cosa? C’è un vento gelato, scivolerò sulla neve e lei ingoierà un pezzo di termometro…

“Non è poi così anomala, in effetti, questa viralità dei balletti?!” – continua.
Capisco.
“Ma tu che ne pensi? Ti ricordi la Prima, quella coreografata da sir Mac Millan, quella ballata da Rudy e la Margot… nel ’65?!” – prosegue il suo intercalare, non del tutto chiaro se interrogativo davvero o piuttosto esclamativo. Tanto di solito, sul momento, così non lo so mai, qualunque cosa chieda.
Oggi (17/03) ricorre il compleanno di Rudolf Nureyev, questo lo ricordo. “Eh! Avevano soffiato il posto a Lynn Seymour e Christopher Gable, con il quale Sir aveva già persino coreografato la scena del balcone”, tossisce o ridacchia ma io sono in taxi, e la radio gracchia numeri e parole. Sono quasi arrivata, il traffico è rallentato, ovviamente. “Fantastiche coppie, artisti da brividi, senza necessariamente avere la febbre”. Che ha! – Mi comunica.

La devo richiamare.
Mi siedo. Carino, penso: fila 11 posto 11. Mi piacciono i due uno appaiati, come la Fonteyn e Nureyev, ma che dico! Come Romeo e Giulietta.
E torno alle spiegazioni di Margherita, che mi dice come in un balletto di questo genere le difficoltà tecniche non siano immense, di soffermarmi piuttosto sulla capacità di rendere il ruolo con tutta l’espressività del corpo: “Chi aggrotta semplicemente le sopracciglia e soffre moltissimo non sarà minimamente tenuto in considerazione in questo articolo”.
Va bene! Ci sono opere coreografiche che esulano dal balletto accademico, sarebbe sbagliato cercarvi la perfezione di linee o la purezza della tecnica. Il coreografo in questi casi potrebbe facilmente richiedere di raffigurare l’amore, il senso della perdita, il disprezzo o la spavalderia. Perciò ci sta che le spalle salgano in segno di diniego; che le braccia si lascino andare in una posizione più naturale, non canonica. Persino le posizioni dei piedi possono essere meno ruotate. Perché pur mantenendo un linguaggio classico, si può uscire dallo schema rigido dell’accademismo.
Io so che è la ballerina che c’è in lei a parlare. Cambia persino tono di voce.
“Perché così puoi dare spazio al tuo sentire, che, poi Stef, è il nostro sentire!!!”

Certo, Marghe.
Lo spettacolo è cominciato da un po’, il cellulare è sulle ginocchia, silenziato completamente. E il balletto è lì e lo so, come so che ci sta pensando anche lei, stesa sul letto con la sua gattona, alla fine si piange di queste vite frantumate come un linguaggio rotto dalle imperfezioni; si piange della scompostezza di Giulietta, delle pettinature che si sciolgono nel dolore.

E ancora una volta mi chiedo quale sia il senso dell’amore.

Quante Giulietta e quanti Romeo… quante storie interrotte dal fato, forse? Ma è davvero l’umano destino? Giulietta non si sveglia in tempo, Romeo non è stato avvisato: il dolore esplode in un suicidio e l’attimo è perso per l’eternità. Romeo si toglie la vita e come può Giulietta risvegliarsi e continuare senza di lui?
Questa volta ho deciso di guardare bene bene Romeo; perché forse l’ho sottovalutato. Giulietta incarna l’eroina drammatica, Romeo sembra vulnerabile a tutto: alla passione, al desiderio, alla situazione di tensione che finisce per essere soffocante. Bisogna fuggire, ma come? Il suo febbrile intento è ingenuo.
E la storia si dipana come la conosciamo.
Allora mi fermo un attimo prima, quando quell’amore è vero reale tangibile. Non l’ho mai guardato dritto negli occhi questo amore?
Margherita sostiene che ognuno veda in Romeo le caratteristiche che più si avvicinano al proprio ideale.
Non è sfuggente? La mia perplessità non la convince.

“Mi chiederei, piuttosto, se colui che riesce a essere ciò che per me è l’innamorato, non sia una persona che ha veramente capito la natura dell’amore”.

Ma anche detto così, non lo rende più facile.

Il sipario cala, si torna a casa. Nella notte e nel freddo ancora più pungente, con i piedi fra le pozzanghere, i pensieri vorticano come i fiocchi di neve, e sono tutti intorno all’AMORE.
Risponde. La febbre è salita, dovrebbe dormire, invece mi chiede se ho trovato il mio ideale di Romeo.
“Qual è il tuo Romeo, Stef?”
“Il taxi che mi ha portata stasera a teatro”, rispondo, “in effetti, slittava un pochino sull’asfalto bagnato”.
Forse ho contratto il virus anche io, penso.
“Ecco appunto”, sussurra, ripiombando nel sonno.

https://youtu.be/HtBRN5BXt6o (Fonteyn-Nureyev)

https://youtu.be/a04IcHI1fFQ (Ferri-Corella)

M&S (Margherita Mana e Stefania Sanlorenzo)

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